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sabato 25 giugno 2011

Oggi è domenica, domani si muore.

E' da tempo che non mi chiedo più il senso delle parole, le quali non fanno altro che rendere il tutto ancora più incomprensibile. La vita in sé e per sé, l'esistenza in sé e per sé, sono tutti luoghi comuni. Ogni volta che andiamo indietro con la memoria, come io faccio ora, tutto a poco a poco si liquida da sé. Per tutta la vita stiamo insieme a persone che di noi non sanno assolutamente nulla, e che affermano tuttavia in continuazione di sapere tutto di noi, i nostri parenti più stretti e i nostri amici più intimi non sanno nulla perché noi stessi ne sappiamo poco. Per tutta la vita cerchiamo di scoprire. quello che siamo, ma arriviamo ogni volta al limite dei nostri mezzi intellettuali e allora rinunciamo. I nostri sforzi danno luogo sempre a un totale sfinimento e a una depressione fatale e sempre micidiale. Quello che noi stessi non abbiamo il coraggio di dirci, perché in effetti siamo incompetenti, gli altri osano invece osano rinfacciarcelo, ma costoro, o perché non vogliono o perché non possono,  non vedono proprio nulla, né di fuori né di dentro. Noi tutti siamo ininterrottamente esseri umani rigettati da altri esseri umani che ogni giorno devono trovare, raccattare e ricomporre i frammenti di se stessi. Anche noi, man mano che andiamo avanti negli anni,  pronunciamo giudizi che sono sempre più severi e siamo costretti a tollerare che gli altri pronuncino  a loro volta giudizi contro di noi due volte più severi dei nostri. L'incompetenza regna sovrana sotto ogni aspetto e,  con l'andar del tempo, è naturale che provochi l'indifferenza.  Dopo tanti anni di violabilità e vulnerabilità siamo ormai diventati quasi inviolabili e invulnerabili,  percepiamo le ferite che ci vengono inflitte, ma non siamo più ipersensibili come una volta. Assestiamo agli altri colpi più duri e sopportiamo da loro colpi più duri. La vita parla un linguaggio più conciso, distruttivo, il linguaggio che oggi parliamo anche noi, non siamo più così sentimentali da avere ancora delle speranze. L'assenza di ogni speranza ci ha chiarito cosa siano gli uomini, le cose, le situazioni, il passato, il futuro, e così via. Abbiamo raggiunto un'età nella quale noi stessi siamo la migliore dimostrazione di tutto ciò che ci è capitato durante la nostra vita.

[T. Bernhard, La cantina, Adelphi, 1984]

Il sabato.

Il sabato mi faceva ogni volta uscire dal negozio e dal quartiere di Scherzhauserfeld per condurmi direttamente nella malinconia, già nel quartiere di Scherzhauserfeld quel silenzio interrotto soltanto dal rumore delle stoviglie lungo tutta la strada sembrava dire ogni volta: è sabato, nessuno sta lavorando, negli alloggi la gente è sdraiata sui divani o sui letti e non sa che cosa fare del proprio tempo.

[T. Bernhard, La cantina, Adelphi, 1984]

martedì 10 maggio 2011

Controindicazioni: Stai lontano da Bernhard!

Dopo sentire che squilla il telefono, rispondere, Pino. Allora parlare con Pino di Bernhard. E dirgli, a Pino, Se leggi Bernhard, le prime volte, apri un suo libro, ti sembra un demente che ripete sempre le stesse cose e ti dici, dirgli a Pino, come mai a Pino gli piace tanto quel demente di Bernhard, non me lo spiego. Dopo, dirgli a Pino, se riesci ad arrivare a pagina dodici, entri nella musica, prendi la malattia.

[...]

Gli dicevo Sai Pino cosa succede con Bernhard? Con Bernhard succede che se perdi il segno ritrovarlo è un casino. A tradimento gli facevo ogni tanto questi rilievi critici, a Pino, che lui rimaneva senza parole.

[...]

Allora, mi ricordo, all'epoca del nostro racconto mi dicevo, tra me e me, Stai lontano da Bernhard! Stai lontano, mi dicevo, che ti crescono dentro la bocca degli aggettivi che non vanno bene. Non vedi, mi dicevo, che ti viene da dire Disgustoso continuamente, pensavo. Che ti si riempiono le pagine di intercalari, pensavo. Ero in fila per pagare le tasse e pensavo Bisogna proprio essere dei luridi vermi disgustosi, pensavo, a fare la fila per pagare le tasse. Bisogna proprio avere la vocazione del verme, pensavo, a fare la fila per pagare le tasse, e arrivava il mio turno, Devo pagare anche qualche giorno di mora, dicevo, e intanto pensavo Proprio come un lombrico. Dopo pagavo. Duecentocinquantadue lire, la mora.

[P. Nori, Spinoza, Einaudi Stile Libero, 2000] 

lunedì 9 maggio 2011

Cementificare.

Il principe disse che in ogni testa d'uomo è insita una catastrofe umana commisurata a quella testa. Non occorre aprire le teste degli uomini per rendersi conto che in esse non c'è altro che una catastrofe umana.
- Senza la sua peculiare catastrofe umana, l'uomo non può esistere assolutamente- disse il principe. L'uomo ama la sua sventura e se per un attimo ne è privo, fa di tutto per ritrovarcisi immerso. - Quando guardiamo in faccia gli uomini, vediamo che o si trovano immersi nella loro sventura o sono alla ricerca della loro sventura. Non c'è uomo senza umana sventura- disse. L'uomo, secondo il principe, si trova senza posa in una situazione estremamente pericolosa, solo che non si rende conto di trovarsi ininterrottamente e sempre contro la sua volontà in una situazione estremamente pericolosa. Proprio questo gli permette di esistere, ma, nello stesso tempo, fa di lui un ammalato. - Moribondi- disse il principe [...] - Quando cerchiamo una persona- disse il principe- è proprio come se, per cercarla, ci aggirassimo a lungo in un immenso obitorio-.

[T. Bernhard, Perturbamento, Adelphi, 1981]

sabato 7 maggio 2011

Impressione.

Il principe disse: "Ho l'impressione che sia normale che il mondo possa andare a pezzi da un momento all'altro. O forse è la natura che deve distruggere se stessa?" disse. " E' un processo che parte sempre dall'interno e si attua all'esterno. Se sono arrivato a questa osservazione, a questa idea, che pur ferisce ogni mio intimo sentire, se sono stato costretto ad arrivarci perché a quanto pare io come organismo sono predisposto soltanto a questo tipo di osservazioni e di idee, non è soltanto il sentimento a dirmi che il momento è giunto (dapprima è solo uno sgretolarsi, crepe, fenditure, uno squarciarsi e uno sgretolarsi!)...E' un momento che può durare secoli, naturalmente, secoli ormai alle mie spalle, secoli a venire, naturalmente. Millenni. Quello che mi sgomenta" disse il principe "non è tanto che i rumori nel mio cervello ci siano sempre stati, tutti, che questi rumori ci siano sempre, ci siano sempre stati, ci saranno sempre, mi sgomenta il fatto tremendo che nessuna delle persone con cui sono venuto in contatto , e io, mio caro dottore, sono venuto in contatto con tante di quelle persone, con tanti di quei caratteri che se a Lei capitasse di vederseli davanti tutti insieme, tutti insieme davanti a Lei, avrebbe senz'altro l'impressione della fine del mondo, io ho avuto a disposizione infatti un'enorme quantità di persone tra cui scegliere e ogni giorno in certe ore ho avuto rapporti con tutti i caratteri e con tutti i cervelli possibili e immaginabili , il fatto che mi sgomenta, dicevo, è che nessuno, neanche un solo cervello, si sia mai accorto né si accorga mai di questi rumori. Non mi sconvolge tanto il fatto che le cose stiano come stanno, ma che sia soltanto io, che sia soltanto il mio cervello a dover registrare quanto ciò sia spaventoso e letale! [...]
Questa situazione per me è letale, la situazione letale per me consiste nel fatto che io in questa situazione mi trovo solo, sono solo in questa situazione".

[T. Bernhard, Perturbamento, Adelphi, 1981]

giovedì 5 maggio 2011

Rumori.

Saurau, vivendo in mezzo ai suoi parenti, in loro compagnia, "una compagnia catastrofica", era assalito da questi rumori ("eruzioni all'interno della terra?" [mio padre]). Il frastuono di quei rumori lo soggiogava. Sentendo il proprio cervello ("un irrompere dell'acqua in zone disseccate da tempi remotissimi?" [Saurau]) come una membrana dolorosamente martoriata  per tutta l'umanità, in cui questi rumori ("trasformarsi di ciò che esiste in qualcos'altro, che esisterà in futuro? [Saurau]) erano sempre esistiti, lui questi rumori non soltanto li udiva, ma li vedeva e li sentiva dentro la sua testa. Il suo cervello era costretto a "sopportare" questi rumori ("crepe che si aprono, un ideale processo di disgregazione della natura!" [Saurau]). Quasi tutte le frasi nelle quali egli inietta di colpo, senza più alcun freno, il suo tormento, terminano con l'espressione "per tutta l'umanità".
Sentiva spesso l'immensa "storia sensoriale-geologica del mondo crollare su se stessa per rifondersi in sostanze totalmente nuove", per cui, secondo lui, si iniziava un processo in cui "tutto sarebbe stato annientato per essere poi definitivo".

[T. Bernhard, Perturbamento, Adelphi, 1981] 

Dentro la gola.

Per me era atroce l'idea che là dove si trova il mulino dei Fochler vivessero delle persone. E che persone! Gli uccelli morti emanavano tutti uno strano odore di putrefazione, dissi. Ci sono delle persone, come il mugnaio e i suoi familiari, che sono costrette a passare la loro vita in una solitudine orrenda come quella che regna dentro la gola, non hanno altra scelta, sono legate alla loro casa, a una misera fonte di guadagno, a un fiume come quello di cui stavamo risalendo il corso fino alla sorgente; altre, invece, come l'industriale, si relegavano volontariamente, con perfetta coscienza di causa, in una segregazione come quella di Hauenstein.  Ma non appena ebbi pronunciato la parola "volontariamente", pensai che non esiste nulla che la gente faccia volontariamente, che il libero arbitrio dell'uomo è un non senso, e dissi a mio padre: "Com'è ovvio neppure l'industriale è andato a Hauenstein volontariamente", e d'un tratto il mondo mi sembrò davvero sinistro; mai mi era parso sinistro come ora che ci stavamo addentrando sempre più in quella gola.

[T. Bernhard, Perturbamento, Adelphi, 1981]

mercoledì 4 maggio 2011

Attimi.

C'erano attimi in cui mi sentivo in grado senza alcuno sforzo di penetrare con lo sguardo nella creazione, che altro non è se non un'immane estenuazione. "Attimi", dissi.
Ogni giorno mi rimettevo completamente per poi distruggermi da cima a fondo.

[T. Bernhard, Perturbamento, Adelphi, 1981]

Casi difficili.

Ma era legata a noi, a suo padre e a suo fratello, di un affetto di cui ancora non riusciva a capacitarsi.
Con me era tutto più facile, disse mio padre, con lei ogni cosa diventava difficile. Viviamo insieme da tanto tempo e non ci conosciamo.
Ciascuno di noi è completamente isolato in se stesso, anche se tra noi il legame è strettissimo.
La vita intera non è altro che un tentativo ininterrotto di ritrovarci.

[T. Bernhard, Perturbamento, Adelphi, 1981]