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mercoledì 11 maggio 2011

N.

Te non sei informata, gli dicevo alla voce, ma la poesia contemporanea attraversa una terribile crisi. Tutti i dibattiti tra i poeti contemporanei dicono tutti che è impossibile, oggi, fare poesia, gli dicevo alla voce. E non è mica una cosa recente, gli dicevo. Era stato tutto previsto all'inizio del secolo da un gruppo di poeti russi lungimiranti, i nullisti di Rostov sul Don. Un gruppo d'avanguardia oggi completamente dimenticato, gli dicevo alla voce, ma all'epoca molto famoso. A Rostov sul Don, erano talmente famosi, i nullisti, che nullista era diventato sinonimo di poeta. Una fama talmente grande che aveva scatenato le invidie dei poeti della capitale. I nullisti sono pulci in una casa deserta! strillava Andrej Belyj per le vie di Pietroburgo, gli dicevo alla voce. Il fatto è che i nullisti, i poeti Rjurik Rok e Devis Umanskij, avevano un concetto talmente basso dei poeti e dei letterati in generale, gli dicevo alla voce, che rischiavano di screditare tutta la categoria. Domani proverò a spaccare l'arte, dammi una mano tu, compagno Lenin, se no io finirò, tanto son sciocco, nella tristezza nuda e disperata, scrisse Rok subito dopo la rivoluzione, gli dicevo alla voce. Ma più i nullisti scrivevano, più si davano addosso e più avevano successo, più arrivavano sovvenzioni, riconoscimenti, inviti. Tanto fecero, tanto brigarono, che alla fine fondarono una casa editrice, la chiamarono Borodac, gli dicevo alla voce, il barbone, significa. Per prima cosa stamparono un manifesto, che chiamarono Manifesto del nullismo. Un testo breve, che riscosse uno strepitoso successo in tutte le Repubbliche Socialiste Sovietiche. Soprattutto perché, dicevano i detrattori, gli dicevo alla voce, faceva leva sulla tradizionale inclinazione dei russi alla pigrizia. Recitava così:

Manifesto del nullismo

Non scrivete nulla
Non leggete nulla
Non dite nulla
Non stampate nulla.

E così fecero, gli dicevo alla voce, con un secolo di anticipo sui poeti contemporanei, che nei dibattiti continuano a dire che non è possibile scriver poesie e poi dopo appena hanno la possibilità di pubblicare pubblicano anche a pagamento.

[P. Nori, Spinoza, Einaudi Stile Libero, 2000]

martedì 10 maggio 2011

Controindicazioni: Stai lontano da Bernhard!

Dopo sentire che squilla il telefono, rispondere, Pino. Allora parlare con Pino di Bernhard. E dirgli, a Pino, Se leggi Bernhard, le prime volte, apri un suo libro, ti sembra un demente che ripete sempre le stesse cose e ti dici, dirgli a Pino, come mai a Pino gli piace tanto quel demente di Bernhard, non me lo spiego. Dopo, dirgli a Pino, se riesci ad arrivare a pagina dodici, entri nella musica, prendi la malattia.

[...]

Gli dicevo Sai Pino cosa succede con Bernhard? Con Bernhard succede che se perdi il segno ritrovarlo è un casino. A tradimento gli facevo ogni tanto questi rilievi critici, a Pino, che lui rimaneva senza parole.

[...]

Allora, mi ricordo, all'epoca del nostro racconto mi dicevo, tra me e me, Stai lontano da Bernhard! Stai lontano, mi dicevo, che ti crescono dentro la bocca degli aggettivi che non vanno bene. Non vedi, mi dicevo, che ti viene da dire Disgustoso continuamente, pensavo. Che ti si riempiono le pagine di intercalari, pensavo. Ero in fila per pagare le tasse e pensavo Bisogna proprio essere dei luridi vermi disgustosi, pensavo, a fare la fila per pagare le tasse. Bisogna proprio avere la vocazione del verme, pensavo, a fare la fila per pagare le tasse, e arrivava il mio turno, Devo pagare anche qualche giorno di mora, dicevo, e intanto pensavo Proprio come un lombrico. Dopo pagavo. Duecentocinquantadue lire, la mora.

[P. Nori, Spinoza, Einaudi Stile Libero, 2000] 

lunedì 9 maggio 2011

Dice Spinoza.

Non mi chiami da una settimana, diceva Giovanna, cos'è successo? Dice Spinoza che non è il tempo, ma l'intensità del rapporto emotivo, dicevo a Giovanna. Learco, la smetti con questo Spinoza, diceva Giovanna.
Diceva Spinoza che il nome che abbiamo ci si stringe intorno come un serpente spiraliforme e stringe stringe e alla fine ci soffoca, dicevo a Giovanna. A te, le dicevo, ti sembra che io sono Learco, invece sono spirito fatto natura, dicevo, come dice Spinoza. Learco, non fare lo stupido, diceva Giovanna. A te ti sembra, che faccio lo stupido, le dicevo a Giovanna, in realtà io non lo faccio lo stupido. Io, al bivio della maturità, quando irrevocabilmente sei costretto a scegliere tra Amleto e Don Chisciotte, dato che le altre manifestazioni dell'umana natura ti sono precluse, come dice Spinoza riferendosi al popolo, quando devi scegliere il tuo moto nel mondo, come dice Spinoza, io naturalmente ho scelto la Mancia, non ci ho neanche pensato alla Danimarca, dicevo a Giovanna. Learco, diceva Giovanna, cosa ti è successo? Dice Spinoza che non ti succede, dicevo a Giovanna, passi attraverso. Succede che sono passato, dicevo a Giovanna, sto andando. Buon viaggio, diceva Giovanna, e metteva giù.

[P. Nori, Spinoza, Einaudi Stile Libero, 2000]

domenica 8 maggio 2011

Tiepide.

C'è sempre un momento, quando scrivi le cose, che le cose che scrivi ti sembrano né carne né pesce, né fredde né calde, tiepide. Se almeno fossero fredde, ti vien da pensare. Se almeno fossero calde. Tiepide.
Di solito succede di lunedì, questo momento. C'è un momento, quando scrivi le cose, che ti vien da dire Ma lo sai che le cose che scrivi non interessano niente a nessuno? Lo sai o non lo sai, ti vien da dire.

[P. Nori, Spinoza, Einaudi Stile Libero, 2000]

La luce, mi diceva, non si vede.

Per esempio sul finire della giornata ho conosciuto un anarchico triestino che ci siamo seduti fuori e abbiamo cominciato a parlare. Che lui diceva Questi tedeschi, stanno sempre a far la punta alle matite. E fin lì eravamo d'accordo. Dopo parlava dell'umanità. Diceva che c'erano stati dei progressi, rispetto alla sua infanzia, che i bambini di adesso eran più furbi, capivano prima. Che ai tempi di suo nonno, dalle sue parti, c'era un sacco di gente che doveva preoccuparsi del mangiare, diceva, non avevano mica tanto tempo di preoccuparsi dello spirito, del bene dell'umanità.
Io dicevo che se lui vedeva dei progressi, io questi progressi non li capivo, che il mondo mi sembrava un posto incomprensibile. Avere fame e cercar da mangiare, come al tempo di suo nonno, perlomeno lo capivo, le cose di adesso non le capivo. Che ci sono dei ragazzi, dicevo, che li chiamano ragazzi-azienda. Questi scelgono un'azienda e ne fanno la loro religione. Ci sono, in America, le ragazze Pepsi: si laccano le unghie con i colori della Pepsi e non escono con i ragazzi che bevono la Coca. Prima di uscire gli chiedono Tu sei per la Pepsi o per la Coca? E quelli che tirano i sassi dai cavalcavia, gli dicevo, li capisci tu? Io non li capisco. Non so cosa fare, vado a tirare un sasso dal cavalcavia. E quelli che muoiono di anoressia, li capisci? Io, morire di fame lo capisco: non hai da mangiare, muori di fame. Morire di anoressia, no. Che morire perché vuoi assomigliare a una che hai visto nelle fotografie, mi sembra che nella tua testa hai qualcosa che non va bene, dicevo. Rispetto a quello che non aveva niente da mangiare, che tutto il giorno doveva pensare a trovar da mangiare, mi sembra che a noi, nella testa, con la sazietà, ci è cresciuto qualcosa che non va bene, dicevo.
Quello che descrivi tu, mi diceva il triestino, è il buio. Ma c'è anche la luce, mi diceva.
E dov'è, la luce, gli chiedevo.
La luce, mi diceva, non si vede.

[P. Nori, Spinoza, Einaudi Stile Libero, 2000]

venerdì 6 maggio 2011

Chi me lo fa fare a me, di rinviare la palla coi piedi?

Da piccolo facevo il portiere. Giocavo nella squadra del quartiere dove abitavo, il quartiere Montebello. Portiere degli allievi della Montebello. Allora una volta, ero lì che dovevo rinviare coi piedi, mi sono chiesto improvvisamente Chi me lo fa fare a me, di rinviare la palla coi piedi?
C'erano i miei compagni, tutti voltati verso di me, aspettavano tutti che rinviassi la palla coi piedi. C'erano gli avversari, tutti voltati verso di me, aspettavano tutti che rinviassi la palla coi piedi. E io ero lì, la palla in mano, avevo appena fatto una parata, facile, colpo di testa senza forza, dritto tra le mie braccia, ero lì che cercavo di ricordarmi chi me lo faceva fare, a me, di rinviare la palla coi piedi.
C'erano i panchinari della mia squadra, tutti voltati verso di me, aspettavano tutti che rinviassi la palla coi piedi. C'erano i panchinari della squadra avversaria, tutti voltati verso di me, aspettavano tutti che rinviassi la palla coi piedi. C'era l'allenatore della squadra avversaria, tutto voltato verso di me, aspettava tutto che rinviassi la palla coi piedi. C'era il mio allenatore, gridava Che cazzo fai? Muoviti! Io stavo lì, col pallone in braccio, pensavo, pensavo.
C'erano i guardalinee, tutti voltati verso di me, aspettavano tutti che rinviassi la palla coi piedi. C'era l'arbitro, tutto voltato verso di me, aspettava tutto che rinviassi la palla coi piedi.
Poi dopo ha fischiato.
Punizione a due in area per la squadra avversaria.
Battono, tirano, gol.
Cominciato a scrivere.

[P. Nori, Spinoza, Einaudi Stile Libero, 2000]