sabato 16 ottobre 2010

(che naspini i noir dez ce li aveva nel destino).

Sacha Naspini è un ragazzo che ha fame.
Che scrive perchè ha fame.
Che è sempre uno dei migliori motivi per scrivere.
Soprattutto sa che la fame serve a non finire dentro le riserve, tra gli animali in estinzione, ingozzati di stereoidi e di pesticidi chimici in porzioni monouso.
Sa che mangiare fino a scoppiare non sempre vuol dire riempirsi lo stomaco.
Tutto dipende da quello che ci butti dentro.
E da quello di cui ha bisogno la tua pancia per smettere di ruggire quei miagolii da gatto spelacchiato.
Perchè mica per tutti è lo stesso.
Sa che non si deve perdere l'istinto per non perdere il controllo.
Senza istinto non c'è fame, nè spinta alla vita, nè curiosità di viverla.
Muore il predatore e si diventa prede.
Muore il produttore e ci si incastra come ingranaggi maldestri di una catena di montaggio. Si finisce per essere consumatori di prodotti in saldo, per di più di serie zeta.
Si dimentica di dare ascolto alla pancia, di fare a pugni con la terra, di dichiararsi guerra giorno dopo giorno, di prendere una donna e di farsi carne, sangue e sperma assieme a lei, contro la pace nera della notte.
Si dimentica di essere animali liberi e ci si ingabbia dentro uno zoo a farsi lanciare le patatine.
Ecco. Sacha Naspini ce ne aveva già parlato di tutta questa roba qua.
Dentro quella storia che iniziava in un buco nella terra e finiva per rintanarcisi di nuovo.
Roba che, penserete voi, non può mica averci niente a che fare con i noir désir.
Lo pensavo anch'io, all'inizio. Ma non è proprio così.
Il suo nuovo libro"Noir Désir, Nè vincitori, nè vinti" (Perdisa pop, ottobre 2010) si spaccia per un saggio, o almeno così dicono. Ma, a conti fatti, più che a un manuale di istruzioni per l'uso sembra proprio di trovarsi davanti a una ballata d'amore, un amore incondizionato, buttato nero su bianco da un ragazzo in corsa attraverso gli anni.
Questo libro, in realtà, è un romanzo doppio. Due romanzi di formazione che corrono parallelamente in tempi e luoghi diversi e giocano a rincorrersi, a  entrare in collisione, a scambiarsi i personaggi e a precipitarsi nel destino, senza che si possa fare niente per cambiare le cose.
Due romanzi scritti di getto, vissuti sempre con la fame alle calcagna.
Il romanzo di un Sacha ragazzo, che si guarda crescere da lontano nella lente acquosa del tempo, tra le campagne della provincia toscana, le estati in cui la pelle era bruciata dalla noia, tra i pomeriggi nelle sale giochi e gli anni ottanta che esplodevano nei jubox, mentre una turista francese si lascia dietro i ricordi del suo presente, che per quel ragazzo finiranno per diventare un improbabile futuro. E' il romanzo di un Sacha ormai uomo che rimette assieme i pezzi della sua favola mitica privata, affondando nelle radici della sua infanzia e adolescenza, in quel substrato primitivo, di scoperta prima e di riconoscimento poi, a cui si guarda con una nostalgia distante, mentre il dolore dello strappo da quel sè ormai così diverso sconquassa ogni fibra.
E poi c'è il romanzo di Bertrand Cantat e dei suoi Noir Désir che diventano uomini insieme, che insieme coltivano la fame l'uno dell'altro per vent'anni, impegnati a schierarsi, a prendere posizioni, a dimostrare ai ragazzi della loro generazione quanto sia importante intraprendere un percorso, a costo di deragliare, di sbagliare binario, di salire su un treno a caso e divorarsi il mondo.
Per saziare la fame, ma mai abbastanza per interrompere il viaggio, per far stare zitta la pancia, per far morire la rabbia, per continuare a macchiare di rosso la terra.
La fame, l'ho ritrovata qui, in un'affermazione rilasciata da un Cantat degli inizi, ancora alle prese con quello storico disco da sei tracce, che tra le altre cose includeva anche quella canzone, "Lola", il punto di partenza del ragazzo Sacha, il momento dell'epifania in un piccolo pub di Amiens e l'inizio del percorso di (ri)scoperta dei Noir Dez. Più di un percorso, appunto, una lunga ballata d'amore che ha tagliato gli anni, senza sbavature.
"La scrittura era per me un terreno vergine, avevo tutto da scoprire. Un bisogno viscerale di esprimermi, e un'incredibile pretesa: credere di portare qualcosa di nuovo, qualcosa che non esisteva già".
Eccola, la fame di Cantat. Ecco il punto di incontro tra il ragazzo Sacha e il giovane Bertrand.
Dare un messaggio onesto,cercando di creare qualcosa al di là del conosciuto, del già visto, dell'immaginato.
In sottofondo sempre la stessa musica tra infinite variazioni di tono.
Ma la voce non cambia mai, la rabbia è sempre la stessa, rossa del sangue di una terra che si ribella, che ingoia grida che sono abissi, nutriti da sogni sepolti nelle viscere, annodati dalla voglia di spezzare e poi ricostruire a modo proprio. O semplicemente di perdersi, per qualche istante, smarrire le coordinate senza sapere se si tornerà indietro.
Sacha Naspini ha saputo scrivere di un personaggio difficile.
Un uomo che era diventato un fatto di cronaca nera. Che dal palco era precipitato dentro una gabbia su cui era calato il sipario. E' stato complicato sdoppiare la testa e separare le due cose: Cantat uomo e musicista.
Ma c'è riuscito, Sacha. Lo ha fatto mettendo i giudizi al margine, come doveva essere.
Perchè si può parlare di Bertrand Cantat.
Si deve continuare ad ascoltare i Noir Désir. Non voglio più sentirmi rispondere che è immorale farlo, che come minimo, sia necessario essere rosi dal senso di colpa.
Quello che è successo a Vilnius è affare di Cantat, non vostro.
Non mettetevi a fare gli obiettori di coscienza.
Cercate di scavare più a fondo, soprattutto, così come il ragazzo e l'uomo Sacha hanno saputo fare.
Lasciate perdere le chiacchiere da salotto e mettete su un disco.
Magari mentre avete tra le mani questo libro qua, perchè Naspini è riuscito bene ad alternare il piano della sua esperienza privata con quello dell'analisi tecnica, canzone dopo canzone, analizzando con una buona competenza critica (ma mai mettendo da parte la pancia) gran parte della discografia dei noir dez. Ha disegnato i rif contro tutto quel bianco doloroso, ha fatto risuonare la carta delle parole di Cantat, dei pugni arrabbiati di Ninì e del disincanto romantico degli assoli di Serge.
 Mentre il sangue riemerge in superficie, la ferita si sta richiudendo.
Ora bisogna riaprirne un'altra. Bisogna tornare a cantare.
Perchè "la ferita è tutto".

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