venerdì 19 febbraio 2010

Perchè io ho la sensibilità del calcestruzzo e questa non è una recensione. [Rileggendo "Biondo 901"].




E' mercoledì diciassette febbraio duemilaedieci e a mezzogiorno mi suonano alla porta.
Io starei anche in pigiama, in una mano un manuale di seicento pagine sulle vie extra-occidentali di liberazione dal dolore, nell'altra una tazza più alta di me piena di thè aromatizzato alla sambuca. O meglio di sambuca aromatizzata al thè. Ma questa è un'altra storia.
Mi avvio al portone, mentre le mie pantafole arancioni a fiori mi precedono per accogliere un postino disorientato che affonda sotto il peso di una gigantesca scatola di cartone firmata ibs.
Credo che la foga con cui mi sia avventata sul pacco lo abbia leggermente spaventato, ma sono dettagli sorvolabili del nostro racconto. Ad ogni modo, torno dentro la mia stanza e, a suon di forbici, con non troppa facilità, riesco ad aprire la scatola e a tirar fuori tra i vari acquisti la mia copia di "Biondo 901" di Alessandro Zannoni.
Quando inizio a sfogliarlo, mi viene in mente quel pezzo del vecchio Salinger in cui Holden dice "Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l'autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare tutte le volte che ti gira. Non succede spesso, però". Ecco, il fatto strano ora è che Zannoni è stato un pò la variabile di questi ultimi giorni. Inizio a pensare che se il suo romanzo mi spacca ben benino, ipse dixit, posso scriverci un pò su e farglielo sapere, insomma. Comunicargli che non ha proprio del tutto sbagliato strada, che il suo messaggio è arrivato chiaro e tondo, domandargli quale fosse il messaggio, chiedergli se avesse un messaggio da lanciare con ricevuta di ritorno. Cose del tipo, insomma. E penso che tutto questo sia bello, in qualche modo, che crei quella rete di contatti necessaria per farti capire se il tuo figlio di carta s'è fatto grande abbastanza da esser libero di andare in giro anche senza di te.
Per questo seguo il consiglio di Zannoni, mi metto comoda e schiaccio il tasto play.
La prima cosa che capisco è che quest'uomo avrebbe dovuto far cinema.
Ero seduta sul mio divano a fissare le parole che si rincorrevano nel bianco e adesso sono sospesa nel vuoto e guardo giù. Due uomini che ne inseguono un altro, nel cono di luce di due fari che violentano la notte. Giordano corre a perdifiato, costeggia la spiaggia, non ha la forza di guardarsi indietro. Non può perdere tempo. A parlare a te, a te che stai leggendo, è la sua voce roca che gli riempie il vuoto d'aria nei polmoni. Sbocca conati acidi di terrore, scrive Zannoni.
Okei, ora metti in pausa e riavvolgi il nastro, che la cassetta si rovina.
Clicca su rewind e ballaci dentro per un pò.
Giordano impari a conoscerlo, è un parrucchiere, vede la vita a colori numerati, la realtà la ripartisce tra i suoi tubetti di tinta ordinati in scala cromatica. E' un tipo inquadrato, ma non troppo. Gli piacciono le donne, ma non è un amante dei legami. Vive secondo uno schema di regole ben preciso e cerca di non sgarrare mai, perchè sa che una volta rotti gli argini, è difficile smettere di annegare.
Giordano tutto questo lo sa, ma l'hai lasciato lì ad annaspare sul ciglio del marciapiede, che il destino gli girava abbastanza contro. Perciò qualcosa deve essere andato storto.
E' matematico che la matematica non sia infallibile.
L'errore dell'equazione, che è la vita di Giordano, si riflette nello specchio del suo negozio. Un caschetto biondo, due occhi che sono pezzi d'oceano e una storia di principesse kazake e di terre in miseria.
Giordano sa bene che da lì in poi sarà tutto un precipitare a testa in giù. Ma sbaglia per necessità, perchè sente di poterselo permettere, dopo una vita passata a lavorare per avere un pò di tempo soltanto per sè. E Letvania, beh, gli pare un gran bel modo di sbagliare. Preciso, direbbe Zannoni.
Il suo amico Fabio B. l'aveva avvertito. Mai innamorarsi di una puttana, diolai. Che poi, a dircela onesta, Giordano non ne era certo che Letvania fosse proprio una puttana. Poteva esserlo, non era da escludere, ma non c'era comunque da porsi il problema. Non sapeva più di tanto della sua vita, la sentiva complice della sua libertà provvisoria e questo era tutto quello di cui aveva bisogno al momento.
Un giorno Letvania scompare e Giordano capisce di aver perso un bel pezzo di sè.
Da qui parte l'incubo tutto in corsa verso quella spiaggia.
Col sangue che pulsa feroce dappertutto, Zannoni smonta le scene di questo valzer d'amore noir, perchè di base deve essere un romantico coi controcazzi. Uno che per una donna farebbe di tutto e per la letteratura il minimo indispensabile, ipse dixit. Perciò un pò d'amore, anche se scuro, rubato, nascosto, doveva parlarne per forza. Per dare un colore diverso a questo primo piano che è la faccia di Giordano, sul selciato del marciapiede, in attesa dell'ineluttabile. Quel colore che non stava in nessun tubetto di tintura, se non nel biondo 901 di Letvania.
Romanzo corale a quattro voci, pochi tratti essenziali e necessari, centoventi pagine di inchiostro cinico in cui Zannoni scioglie le immagini della sua terra, come un odore lontano sullo sfondo. Tra i diolai di quel buon diavolo di Fabio B., i ricordi rigati e gli occhi spezzati di Letvania e l'amarezza d'odio triste di Doppiopetto, Giordano corre spaventato, incapace di tornare al nido sicuro e senza scosse che era la sua vita prima. Senza neanche troppa voglia di farci ritorno, in fin dei conti.
Sotto il peso della sua disperazione, sente che annegarci in quell'errore è la sua unica alternativa.
E tutto perchè a non dargli ascolto a quel pazzo di fabio b. ci si perderà sempre e comunque.

A questo punto, posso dirlo. Che Zannoni sa scrivere, che non ha sbagliato strada. E che, ora come ora, avrei propria voglia di alzare la cornetta e dirgli che diolai, se ha un bel talento.
E anche che scrive come mangia, che è una gran cosa.
Qualcosa che ti fa distinguere in tutto quel farsi di retorica e melodramma, che ti fa venir voglia di lasciarle lì da sole, quelle povere parole, messe così talmente a incastro che a tirarne fuori una, cade giù il castello.
Ma questo non vorrebbe sentirselo dire, perchè non se la vede bene addosso la parola "scrittore".
E forse è proprio questa la variabile buona. La sua, perlomeno.

Tristan V.P./ Giulia G.

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