giovedì 30 giugno 2011

La luna

è il libro che mi portavo dentro da più tempo e che ho più goduto a scrivere. Tanto che credo che per un pezzo- forse per sempre- non farò più altro. Non conviene tentare troppo gli dei.

Neil Young Old Man live in '71

sabato 25 giugno 2011

Oggi è domenica, domani si muore.

E' da tempo che non mi chiedo più il senso delle parole, le quali non fanno altro che rendere il tutto ancora più incomprensibile. La vita in sé e per sé, l'esistenza in sé e per sé, sono tutti luoghi comuni. Ogni volta che andiamo indietro con la memoria, come io faccio ora, tutto a poco a poco si liquida da sé. Per tutta la vita stiamo insieme a persone che di noi non sanno assolutamente nulla, e che affermano tuttavia in continuazione di sapere tutto di noi, i nostri parenti più stretti e i nostri amici più intimi non sanno nulla perché noi stessi ne sappiamo poco. Per tutta la vita cerchiamo di scoprire. quello che siamo, ma arriviamo ogni volta al limite dei nostri mezzi intellettuali e allora rinunciamo. I nostri sforzi danno luogo sempre a un totale sfinimento e a una depressione fatale e sempre micidiale. Quello che noi stessi non abbiamo il coraggio di dirci, perché in effetti siamo incompetenti, gli altri osano invece osano rinfacciarcelo, ma costoro, o perché non vogliono o perché non possono,  non vedono proprio nulla, né di fuori né di dentro. Noi tutti siamo ininterrottamente esseri umani rigettati da altri esseri umani che ogni giorno devono trovare, raccattare e ricomporre i frammenti di se stessi. Anche noi, man mano che andiamo avanti negli anni,  pronunciamo giudizi che sono sempre più severi e siamo costretti a tollerare che gli altri pronuncino  a loro volta giudizi contro di noi due volte più severi dei nostri. L'incompetenza regna sovrana sotto ogni aspetto e,  con l'andar del tempo, è naturale che provochi l'indifferenza.  Dopo tanti anni di violabilità e vulnerabilità siamo ormai diventati quasi inviolabili e invulnerabili,  percepiamo le ferite che ci vengono inflitte, ma non siamo più ipersensibili come una volta. Assestiamo agli altri colpi più duri e sopportiamo da loro colpi più duri. La vita parla un linguaggio più conciso, distruttivo, il linguaggio che oggi parliamo anche noi, non siamo più così sentimentali da avere ancora delle speranze. L'assenza di ogni speranza ci ha chiarito cosa siano gli uomini, le cose, le situazioni, il passato, il futuro, e così via. Abbiamo raggiunto un'età nella quale noi stessi siamo la migliore dimostrazione di tutto ciò che ci è capitato durante la nostra vita.

[T. Bernhard, La cantina, Adelphi, 1984]

C.S.I. - Irata (Live)

Il sabato.

Il sabato mi faceva ogni volta uscire dal negozio e dal quartiere di Scherzhauserfeld per condurmi direttamente nella malinconia, già nel quartiere di Scherzhauserfeld quel silenzio interrotto soltanto dal rumore delle stoviglie lungo tutta la strada sembrava dire ogni volta: è sabato, nessuno sta lavorando, negli alloggi la gente è sdraiata sui divani o sui letti e non sa che cosa fare del proprio tempo.

[T. Bernhard, La cantina, Adelphi, 1984]

giovedì 23 giugno 2011

Un nome.

Io credo che se un giorno mi chiedessero cosa vorrei scrivere di quanto è già stato scritto e che non avrei mai l'intelligenza necessaria per scrivere, se mi chiedessero un nome soltanto, ecco, io risponderei: Thomas Bernhard.
Senza neanche una disgustosa esitazione.

martedì 21 giugno 2011

Valium Tavor Serenase.

Penso che tutti gli autori, anche i più fantastici e smisurati, non possano escogitare i loro temi, a volte degni di un incubo, con lo spirito del botanico o del numismatico. Credo che tirino fuori brandelli di carne indicibili, ma non ritengo che parlare del male possa avere un valore terapeutico o catartico. La nevrosi di Kafka o l’angoscia di Gadda hanno la letteratura come forma, non come speranza di guarigione. La scrittura non cura, ma si limita a esprimere.

[Michele Mari]

lunedì 20 giugno 2011

No.

La maggior parte di noi conviene che questi sono tempi oscuri e stupidi, ma abbiamo bisogno di una narrativa che si limiti a drammatizzare quanto tutto sia oscuro e stupido?

[DFW, 1991]

Case in vetrina.

Parrà strano, ma la sola attrattiva che mi offrivano quelle desolanti camminate erano i negozi d'arredamento, assai numerosi, forse per via del fatto che vivevamo in un quartiere di famiglie piuttosto abbienti o, per dirla con un po' di risentimento sociale, un quartiere col quale c'entravamo assai poco. La vista di quelle case in vetrina mi incantava. Soggiorni magnificamente ammobiliati, stanze da letto linde e accoglienti.
Ad affascinarmi non era la qualità degli arredi, il design raffinato. Ero troppo piccolo per apprezzare simili cose. Quel che trovavo meraviglioso, di una bellezza quasi consolatoria, era l'ideale che esprimevano. Non avevo visto molte abitazioni oltre al modestissimo appartamento in cui vivevamo allora, ma mi rendevo conto che case come quelle potevano trovarsi soltanto nei negozi. Qualcuno avrebbe potuto acquistare un divano o un letto o una lampada o magari tutti gli articoli esposti, ma una volta trasferite in un vero appartamento quelle stanze avrebbero perso la loro magia. Soltanto lì, infatti, sigillate in pareti trasparenti, non sporcate dalle macchie sul tappeto, dalle bruciature di sigaretta sul divano, dalle beghe familiari; solo al riparo dalla contaminazione umana, avrebbero potuto conservare il loro ordine, la loro immacolata, disabitata perfezione.

[T. Pincio, Hotel a zero stelle, Laterza, 2011]

domenica 19 giugno 2011

Oggi e domani.

Oggi ci si barrica dentro una stanza a pensare a domani, e che magari si potrebbe anche uscire dalla finestra, non star tutto il giorno a cercare di uscire dalla porta, che c'è anche una finestra in questa stanza e magari è da lì che devo uscire. Magari questa finestra non è un'uscita d'emergenza, è soltanto la mia uscita e basta un salto, un metro o poco più, e mi ritroverò fuori, dentro questo fuori onnivoro e brulicante che mi fa venire voglia di costruire un accampamento anti-bellico, infilarci la testa e aspettare la fine, gli occhi sgranati sotto la minaccia abbagliante di una torcia. Come quando da ragazzina costruivo i miei tunnel sotterranei: due sedie messe a due angoli opposti della stanza e una coperta a fare da ponte di copertura in diagonale. Le mani dietro la nuca, la schiena a terra, i piedi nudi che grattavano il fresco incrostato lungo le mattonelle. Bastava sollevare un lembo della coperta, che il fuori arrivava subito a contaminare quell'odore rarefatto di ordine minimale, di posizioni che non cambiano, di spazi che non si estendono e non si restringono, di un tempo muto che batte la campana a morto per me, che sono lì dentro stesa in una bara con le unghie a fare i graffi alle coperte mentre la voragine del fuori, del mio non saper mai stare al mondo, perfora la stoffa, distillando in ogni centimentro della mia distanza dal resto una tensione quasi sessuale, un'ansia sospesa tra desiderio fisico e necessità di separazione.

Domani invece, si continua a buttar giù idee per Domenica ventisette.
Che è il giorno in cui è morto qualcuno ed è nato qualcun altro.
Sono storie di famiglia.
In cui la famiglia smette di esistere.
Sgretolata, distrutta, abbattuta a colpi d'ascia.
Perché le cose vanno come devono andare.
E questo è il tempo delle mie Correzioni.

The Doors - The end

Perforatore del geoide.

Finché concepii un'impresa folle. Un progetto che battezzai così: Perforatore del geoide. Consisteva nell'individuare un sito di questo nostro derelitto pianeta. Avrei perimetrato il sito con una staccionata e mi sarei accampato al suo interno con tenda, sacco a pelo, badili, picconi e il resto necessario. Poi avrei cominciato a scavare. Scavare senza posa. Penetrando nelle viscere della terra. E non per trovare petrolio o minerali preziosi o tesori sepolti o fossili di creature estinte. Solo per scavare. Avrei scavato fin quando ci fosse stata terra da scavare. Avrei scavato fino a sbucare agli antipodi. Questa era l'idea: perforare il geoide da parte a parte. Praticare il foro più profondo che sia possibile praticare. Bucare il mondo.

[T. Pincio, Hotel a zero stelle, Laterza, 2011]

giovedì 9 giugno 2011

Una stanza per sempre.

Mi metto la giacca e il berretto da marinaio, poi mi fermo sulla porta e mi accendo una sigaretta. Il corridoio e la tromba delle scale sono tutti illuminati per tenere lontani puttane e barboni. La porta dall'altra parte del corridoio si apre e la drag queen sbircia fuori, mi lancia un'occhiata: - Buon anno-. Chiude piano la porta e io levo le tende, do un calcio alla porta, macchio la vernice con le mie suole di gomma.
Lo sento là dentro che ride di me, ride perché sono solo. Sento le sue risate per tutto il tempo che scendo le scale. Ha ragione: ho bisogno di una donna, ma non di una puttanella. Ho bisogno del dopo, di quello che una puttana non può mai darti. Quando arrivo nella hall piena di donne grasse e vecchi, penso che questa è l'unica casa che ho. Forse ho preso questa stanza per sempre; potrei anche non aver bisogno di andare da un'altra parte dopo stanotte.

[B. D'J Pancake, Una stanza per sempre, Trilobiti, Isbn, 2005]

Virtù.

Quando vedo qualcuno, mi vien voglia di dargli un pugno sul muso. E' così piacevole, picchiare la gente sul muso!
Sto seduto nella mia stanza e non faccio niente.
Ecco che qualcuno mi è venuto a trovare; bussa alla mia porta. - Entrate!- dico.
Entra e dice - Buongiorno! Come sono contento, di averla trovata a casa!
Io lo picchio sul muso, e poi ancora con lo stivale nel basso ventre. Il mio ospite, per il male terribile cade supino.
E io con il tacco sugli occhi!
E' meglio non andare da nessuna parte, quando non t'han chiamato.
Oppure così: offro all'ospite una tazza di tè. Lui acconsente, si siede al tavolo, beve il tè e racconta qualcosa. Io faccio finta di ascoltarlo con grande interesse, annuisco, dico Ah!, faccio una faccia stupida e rido. L'ospite, lusingato dalla mia attenzione, si lascia andare sempre di più.
Io, tranquillo, mi riempio una tazza di acqua bollente e la butto in faccia al mio ospite. L'ospite si alza di scatto e si prende la faccia con le mani. E io gli dico - Non ci sono più virtù nella mia anima. Se ne vada! - E metto l'ospite alla porta.

[D. Charms, Disastri, Marcos y Marcos, 2011]

Carpe diem.

Ho sentito questa espressione: "Cogli l'attimo".
Facile a dirsi, ma difficile a farsi. Per conto mio, è un'espressione priva di senso. Effettivamente, non si può esortare all'impossibile.
Dico questo con piena convinzione, perché ho sperimentato la cosa su me stesso. Ho provato a cogliere l'attimo, ma non l'ho preso mi sono solo rotto l'orologio. Adesso so che non è possibile.
Così come non è possibile "cogliere l'epoca" perché è come l'attimo solo più grossa.
Un'altra cosa, se dicessero: "Rappresenta quello che succede in questo momento". Questa è tutta un'altra cosa.
Ecco, per esempio: un due tre. Non è successo niente. Ecco che ho rappresentato un momento in cui non succede niente.
Ho detto questa cosa a Zabolockij, gli è piaciuta molto, è stato seduto tutto il giorno a contare: un due tre. E' quello che ha notato, che non succedeva niente.

[D. Charms, Disastri, Marcos y Marcos, 2011]

mercoledì 8 giugno 2011

The Antlers - Two

I bambini non sono persone perbene.

Aveva ragione l'imperatore Aleksandr Vil'berdat, a isolare nelle città luoghi speciali per i bambini e le loro madri, gli unici dove veniva permesso loro di stare. Le donne incinte anche loro le mettevano là, dietro uno steccato, e non offendevano con il loro aspetto ripugnante gli sguardi della pacifica popolazione.
Il grande imperatore Aleksandr Vil'berdat capiva l'essenza dei bambini non peggio del pittore fiammingo Ternis, sapeva che i bambini sono, nel migliore dei casi, dei vecchi crudeli e capricciosi. L'inclinazione per i bambini è quasi la stessa cosa dell'inclinazione per i germi, e l'inclinazione per i germi è quasi la stessa cosa dell'inclinazione per la defecazione.
Non ha senso vantarsi dicendo: "Io sono una persona perbene perché amo i germi o perché amo la defecazione". Esattamente come non ha senso vantarsi dicendo: "Io sono una persona perbene perché amo i bambini".
Il grande imperatore Aleksandr Vil'berdat appena aveva un bambino cominciava a vomitare, ma questo non gli ha in alcun modo impedito di essere una persona molto perbene.
Io conoscevo una signora, che diceva che lei ci stava a dormire in una stalla, in una porcilaia con i maiali, nella tana di una volpe dovunque, solo non nei posti dove c'è odore di bambino. Sì, veramente, è l'odore più disgustoso e direi anche: il più offensivo.
Per una persona adulta la presenza dei bambini è offensiva. E ecco, ai tempi del grande imperatore Aleksandr Vil'berdat, mostrare a una persona adulta un bambino veniva considerata la massima offesa. Era peggio che sputare in faccia a uno, anche se lo si beccava, diciamo, in una narice. L' "offesa del bambino" dava origine in genere a un duello all'ultimo sangue.

[Disastri, D. Charms, Marcos y Marcos, 2011]

martedì 7 giugno 2011

Il centro esatto.

Fin dai tempi antichi gli uomini riflettevano su che cos’è l’intelligenza e che cos’è la stupidità. A questo proposito, io ricordo il caso seguente: quando mia zia mi ha regalato la scrivania, io mi sono detto: «Ecco qua, mi siedo al tavolo, e il primo pensiero che comporrò a questo tavolo sarà particolarmente intelligente». Ma a comporre un pensiero particolarmente intelligente non ci sono riuscito. Allora mi sono detto: «Va bene. Non sono riuscito a comporre un pensiero particolarmente intelligente, allora comporrò un pensiero particolarmente stupido». Ma anche a comporre un pensiero particolarmente stupido, non ci sono riuscito. Tutte le cose estreme da fare sono molto difficili. Le parti centrali si lascian trattare più facilmente. Il centro esatto non richiede nessuno sforzo. Il centro è l’equilibrio. Lì, non c’è nessuna lotta.

[Disastri, D. Charms, Marcos y Marcos, 2011]

domenica 5 giugno 2011