sabato 30 aprile 2011

Cari TQ.

Comunque, voi scrittori giovani, sarete anche famosi, ma state attenti. State attenti, voi scrittori giovani, che essere troppo giovani può essere un rischio, non so se mi spiego. Può essere un rischio che se cercate di essere giovani, dopo vi può succedere di essere solo moderni, se mi posso permettere di darvi un consiglio, scrittori giovani. Che Suskin, non era mica moderno. Che anche se siete famosi, delle cose come Suskin non le ho ancora lette, scritte da voi, anche se siete famosi. Delle cose come Ili'f e Petrov non le avete ancora scritte, voi, anche se siete famosi e vi date delle arie. Delle cose come Sergej Aksakov ve le scordate, voi, anche se parlate alla radio. Parlate, parlate alla radio. Ma state attenti, che diventare troppo moderni finisce che dopo non siete più capaci di scrivere.

[P. Nori, Bassotuba non c'è, DeriveApprodi, 1999]


Ma io sono un insetto?

La seconda cosa che ti succede quando vai al cinema è che te ne vai al cinema a vedere un film sulla rivoluzione, vieni fuori che ti sembra di aver fatto la rivoluzione. Allora, dopo, vai a casa come uno che ha appena fatto la rivoluzione. Cosa deve fare, uno che ha appena fatto la rivoluzione? Niente. Va a letto. A riposarsi. Che te hai un bel dire, dopo, Scantatevi, che vi stanno sfruttando. Che fate una vita di merda, scantatevi. Quelli ti guardano come se loro fossero Robespierre e Marat. E tu, un deficiente. Ti guardano come un matto. Loro, convinti di aver fatto la rivoluzione, pensano che sei tu, il matto. Li senti come dicono Ho visto il film su Sacco e Vanzetti? Lo dicono come se fossero andati in America a bruciarsi davanti al tribunale, per Sacco e Vanzetti.
E la letteratura?
La letteratura, no. La letteratura, ti sveglia.Ti fai delle domande, con la letteratura. Che li ho visti, gli studenti di russo del secondo anno. Si vedeva, da come entravano in facoltà, che avevano appena letto Delitto e castigo. Si vedeva, da come piegavano la testa, che pensavano Ma io sono un insetto? Cosa farò, io, nella mia vita? Una vita da cimice o da Napoleone? Dopo, di solito, si scordano. Fanno carriera. Al massimo, fondano un cineclub, dopo.

[P. Nori, Bassotuba non c'è, DeriveApprodi, 1999]

mercoledì 27 aprile 2011

Tra un po'.

C'è un mio amico, ha scritto un romanzo, Tra un po' saremo tutti morti, si intitola. Allora io quando mi ha detto il titolo ci sono rimasto. Non ci avevo mai pensato, che tra un po' saremo tutti morti. Allora gli ho telefonato, gli ho detto, a questo mio amico, Sai che hai ragione?
Ho ragione cosa? mi ha detto lui.
Hai ragione che tra un po' saremo tutti morti, gli ho detto.
Eh già, mi ha detto.
Eggià, gli ho detto io.
Dopo, han deciso di pubblicarglielo, questo romanzo. Una casa editrice palermitana. Solo, questi palermitani, essendo superstiziosi, parlavano del romanzo senza mai citare il titolo.
Bello, quel romanzo lì di Pino, dicevano, che questo mio amico si chiama Pino.
Dopo, quando è stato il momento di dirgli a Pino che lo pubblicavano gli han telefonato, gli han fatto un sacco di complimenti. Solo, gli han detto, c'è una cosa, il titolo. Bisogna cambiarlo. Allora adesso il romanzo di Pino uscirà con un altro titolo. Peccato. Un titolo così bello di sicuro non lo trovano mica. E una frase così significativa era proprio un peccato, se andava sprecata. Dopo poi per fortuna mi hanno invitato a un convegno a Milano, Gli under quaranta di fronte al nuovo millennio, si intitola. Allora, questo convegno, mi han chiesto di fare una profezia-previsione per il futuro. Allora io adesso ci vado, Tra un po' saremo tutti morti, gli dico. Voglio vedere chi dice qualcosa.

[P. Nori, Grandi ustionati, Einaudi Stile Libero, 2001]

Eels-Not ready yet

martedì 26 aprile 2011

Morire di freddo a primavera.

I piccioni volano bassi
fra strani tagli di vento
il rettlangolo di piazza Duomo disegna
una perfetta chiusura del cerchio

freddo- noia- silenzio

qualcuno scatta foto da cartolina
l'unità di misura di un ricordo
in metrò è segnalato un guasto:
a Conciliazione si è ammazzato un vecchio

di essere soli non si smette mai.

[G. Montieri, Consuetudine invernale, Futuro semplice, Lieto Colle 2010]

CCCP Fedeli alla Linea - Annarella

lunedì 25 aprile 2011

(Nostos # 2)

Sono ritornato, ho attraversato l'ingresso e mi guardo intorno. E' il vecchio cortile di mio padre. La pozzanghera nel mezzo. Attrezzi vecchi, inservibili, intricati tra loro ostacolano il passaggio alla scala del solaio. Il gatto sta in agguato sulla ringhiera. Un panno a brandelli, avvolto un giorno per gioco intorno a un palo, si agita al vento. Sono arrivato. Chi mi riceverà? Chi aspetta dietro la porta della cucina? Dal camino esce il fumo, si sta bollendo il caffè per la sera. Ti senti a tuo agio, senti di essere a casa tua? Non lo so, sono molto incerto. E' la casa di mio padre, ma freddi stanno gli oggetti l'uno accanto all'altro, come se ciascuno badasse ai fatti suoi che in parte ho dimenticati, in parte mai conosciuti.
Pur essendo figlio del babbo, del vecchio agricoltore, come potrò essere utile, che cosa sono per loro? E non oso bussare alla porta della cucina, ascolto soltanto da lontano, da lontano sto in ascolto, in piedi, ma non in modo che mi si possa sorprendere a origliare. E siccome ascolto da lontano, non afferro nulla, odo o credo forse soltanto di udire un leggero ticchettio d'orologio che mi pare mi giunga dai giorni dell'infanzia. Ciò che si svolge in cucina è un segreto di coloro che vi stanno e che me lo nascondono. Quanto più si indugia fuori dalla porta, tanto più si diventa estranei. E se ora qualcuno aprisse la porta e mi rivolgesse una domanda? Non sarei io stesso come uno che voglia custodire il suo segreto?

[F. Kafka, Ritorno, 1920, Racconti]

pasolini e l'omologazione

domenica 24 aprile 2011

Noir Désir - Les ecorchés

Statemi sani!

Io che pensavo che in ospedale va bene ero malato ma fuori dall'ospedale sarei stato sano, è il contrario, che in ospedale gli ultimi giorni non mi faceva mai male niente tra i malati io ero il più sano, qua fuori appena mi fermo che si raffreddano i muscoli una dopo l'altra mi fan male tutte le parti che si sono ustionate e guardare gli altri, anche Tanzi, sono tutti più sani di me.

[P. Nori, Grandi Ustionati, Einaudi Stile Libero, 2001]

La cosa più brutta.

Ma la cosa più brutta, di cadere giù per le scale, non è quando prendi la botta che ti fa male, la cosa più brutta è il momento che te sei per aria, le gambe in avanti, ti rendi conto che la botta, è questione di poco, sta per arrivare.

[P. Nori, Grandi ustionati, Einaudi Stile Libero, 2001]

Tu ora emendi finché ti necessita.

Diavoli, sono arrivato a pagina settantacinque, a correggere Diavoli. Dev'essere la quinta o la sesta volta, che lo stampo, lo correggo, metto dentro le correzioni, lo ristampo, lo ricorreggo. Allora oggi pensavo Adesso non mi interessa finisco questo giro poi mando via il romanzo, vien come viene chissenefrega, pensavo oggi. Dopo magari lo correggo poi dopo, pensavo.

Stavo pensando così, si è squarciato il soffitto della mia cameretta mi è apparso il Foscolo incatenato alla sedia Gianmai, mi ha detto. Tu ora emendi finché ti necessita, mi ha detto il Foscolo incatenato.
Va bene, gli ho detto, va bene, ora emendo finché mi necessita, gli ho detto, va bene, Parla come Miasma, ho pensato, intanto che lui annuiva Addio frattanto, diceva, e spariva con la sua sedia le sue catene si ricomponeva anche il soffitto della mia cameretta.

[P. Nori, Grandi ustionati, Einaudi Stile Libero, 2001]

sabato 23 aprile 2011

Sì, perché fuori?

Viene a trovarmi Mario, che è tornato poi dalla Russia Mario, gli dico, questo è un posto, incredibile, qua dentro le cose van tutto il contrario di come van fuori.
In che senso? mi chiede.
Nel senso che qui gli scrittori non scrivono, i fumatori non fumano, viene qui uno, ti dice Io sono Poldo, ti dice, poi salta fuori, Raffaello, si chiama, qui anche se guarisci magari non ti mandano a casa per dei motivi oscuri che te li nascondono, qui prendi un libro ti sembra, La lingua salvata di Canetti, lo apri, Sette storie gotiche di Karen Blixen, qui gli editori ti mandano i contratti senza neanche leggere i libri, qui sei contento se ti mettono i sondini nel naso, qui le interviste non sono delle interviste dei quiz, sono, qui i degenti non sono degenti, son concorrenti della gara a chi esce prima da questo reparto, Mario, io qui nella hit parade sono testa a testa con John Holmes, Mario, qui se non ti fa male niente Oi oi, dicono, c'è qualcosa che non va, qui quando al mattino ti sveglia un bambino che piange tu sei contento, Mario, al mattino presto alle cinque e mezza, Mario, qui si impara a pisciare da coricato, Mario, qui quando ti operano poi non ti operano perché c'è un cazzo di sciopero degli anestesisti, Mario, questo posto bisogna starci attenti questo è un posto carnascialesco che qui niente è quello che sembra una cosa incredibile, Mario, gli dico a Mario.
Sì, perché fuori, mi dice Mario.

[P. Nori, Grandi ustionati, Einaudi Stile Libero, 2001]

The Doors - Break on Through (to the other side)

La processione del venerdì santo.

La madre di Giovanni aveva singhiozzato dalla cucina che li avrebbe comprati lei i cannelloni per il pranzo della domenica. Giovanni, sprofondando nel divano rattoppato del salotto, si era arrotolato tra le lenzuola che lo ricoprivano dalla testa ai piedi come in un sudario. Era fine aprile, quell'anno la Pasqua aveva tardato ad arrivare, Gesù Cristo era stato indeciso fino all'ultimo sul da farsi, ma alla fine più per abitudine che per necessità, sarebbe risorto anche quella volta. Soltanto inerzia, pensava Giovanni, risorgere era soltanto una questione di inerzia. Chissà, prima o poi avrebbe smesso di farlo, un giorno avrebbe capito che prima di risorgere sarebbe dovuto morire per davvero, senza barare, lasciandoli tutti lì a rosicchiarsi le unghie, con gli occhi sgranati dall'angoscia ad aspettare un segno dal cielo, un'apparizione che squarciasse la notte in una fessura luminosa, una capocchia di spillo a fare da martire alla speranza.
Il sole pigro di mezzogiorno entrava sbadigliando tra le finestre aperte a festa.
La madre di Giovanni, con le guance calde di lacrime, gli aveva gridato che No, sulla loro porta non ci sarebbero state coccarde nere, nere di lutto, che la Pasqua arriva comunque, anche dentro le case dove muore un padre e lascia vedove e orfani, che le finestre dovevano restare aperte, che gli altri non avrebbero dovuto indovinare il loro dolore, sentirlo rompersi contro i vetri chiusi e le serrande abbassate, che lei i cannelloni li avrebbe comprati lo stesso e ne avrebbe lasciato qualcuno in frigo, perché a Giuseppe di notte gli veniva sempre fame e i cannelloni avanzati dal pranzo, ah, se ci andava matto, poteva scofanarsene una teglia intera, aveva ridacchiato nervosa, mentre si asciugava la faccia con un lembo del grembiule sporco di sugo.
Il pigiama di lana pesante grattava contro la pelle di Giovanni, lo pungeva rasposo, lo precipitava in una prigione di caldo, mentre un formicolio di eccitazione lo percorreva tra le cosce e gli risaliva lungo le braccia fino a fargli tremare i denti. Coi riflessi ancora rallentati dal sonno, la mano di Giovanni era scivolata leggera tra le gambe, ad accarezzargli il cazzo seguendo il ritmo del suo respiro, mentre il lenzuolo bianco, zuppo del suo sudore, si alzava e si abbassava a intervalli irregolari. Le labbra di Giovanni si erano dischiuse in un mugolio rotto, il lamento d'un animale preso a bastonate, tra i suoi ricordi iniziavano a sgomitare le immagini della processione del venerdì santo.
La notte del venerdì, la madre di Giovanni si spogliava nuda davanti allo specchio, mentre suo padre in salotto spingeva a caso i tasti del telecomando, fino a quando negli occhi potevi leggergli i prezzi delle televendite dei materassi. Giovanni, di solito, si accucciava dietro la porta della loro camera da letto e spiava sua madre infilarsi in quel vestito viola di raso, senza biancheria intima addosso. Fissava le mani di sua madre mentre stringevano i capezzoli turgidi per poi scivolare affannate verso la figa, dischiusa in un taglio verticale irregolare, un abbozzo di sorriso. Quando la madre di Giovanni usciva dalla stanza, lo prendeva in braccio e dopo avergli stampato un bacio sui capelli, lo trascinava in salotto. Ogni venerdì santo, la madre di Giovanni, nel suo vestito viola di raso, con le labbra sporche di un rosso troppo acceso, chiedeva a suo padre se volesse scendere a vedere la processione. Il padre di Giovanni, mentre le immagini di qualche ragazza seminuda delle tv a pagamento gli bucavano le pupille, scuoteva appena la testa, annoiato. Così sua madre inghiottiva un nodo si saliva, scossa dal tremito di una solitudine tremenda, e tra i denti, a testa bassa, sibilava: va bene, io e Giovanni scendiamo.
Giovanni l'aveva sempre detestata, la processione.
Quello che più lo spaventava erano gli incappucciati.
Degli incappucciati sentivi il rumore, prima di vederli arrivare.
Uno strusciare di catene sull'asfalto.
Un cingolare di morte.
Cling clong cling clong.
La campana che suona a morto.
Uno sbatacchiare di croci di legno.
Dum dam dum dam.
Lo strascinarsi dei piedi scalzi.
Frush frish frush frish.
Il frastuono di un gesso che si spezza sulla lavagna.
Lo strepitio dei loro voti a Cristo in quella sfilata della disperazione.
Quando li vedi, gli incapucciati, la paura è finita.
Giovanni scrutava curioso nei buchi per gli occhi dei loro cappucci bianchi.
Come quelli che andavano a bruciare i negri.
Quando li vedi, gli incappucciati, ti verrebbe da prenderli a calci.
Da urlargli contro le peggiori ingiurie.
Da cucirgli la bocca con le loro preghiere.
Quando li vedi, gli incappucciati, ti verrebbe da risorgere Cristo e da riattaccarlo alla croce.

Giovanni chiude gli occhi, il suo respiro si fa sempre più veloce, le gambe gli tremano in una danza incontrollata. Quando un fiotto caldo tra le gambe gli strappa un grido soffocato, il fragore dell'ultima catena gli taglia la faccia in due, mentre in cucina sua madre si sta buttando dal balcone, che tanto la finestra era rimasta aperta.





Coda di Lupo - Fabrizio De André



E a un dio lieto fine non credere mai.

venerdì 22 aprile 2011

Nostos.

Ci sono delle volte in cui esco di casa e mi verrebbe da chiedere indicazioni ai passanti, farfugliando a denti stretti un imbarazzato: sa, un tempo io qui ci ho abitato, ma son trent'anni che non torno. Me lo sa dire dove devo andare per arrivare a casa mia?

Ecco, a volte mi sento così quando esco di casa.

giovedì 21 aprile 2011

"Quello di cui sento veramente il bisogno",

dice, "è di accanirmi contro le strutture della civiltà, i suoi inganni calcolati e i suoi costumi di equità. I discorsi sull'arte sono solo una perdita di tempo, ogni forma d'arte è una bagatella, è soltanto un tentativo di spiegare il mondo con battute da clown".

[C. Cannella, Tutto deve crollare, Perdisapop 2011]

mercoledì 20 aprile 2011

Elephant ( Mad world )




Dodici anni fa.

Hemingway - Negrita - Live MTV Day

(Stay human)

Le risorse di cui disponiamo sono talmente scarse che non bastano nemmeno a garantirci il pieno di benzina, figuriamoci a risolvere i problemi che affliggono l'umanità.
Soprattutto non c'è niente che si possa fare per migliorare concretamente la situazione, allora tanto vale che ognuno pensi a soddisfare i propri bisogni e non si faccia imputridire il cervello dallo "spirito umanitario". Perché lo "spirito umanitario" è dannoso per la capacità intellettuali umane. E' una malattia mentale che molti uomini si pongono sistematicamente nel cervello, senza una ragione, così, per farsi male.
E' la peggiore di tutte.
Fa perdere la concentrazione, distrae dai problemi materiali e nella maggior parte dei casi si trasforma in un evento irreparabile.

[C. Cannella, Tutto deve crollare, Perdisapop 2011]

lunedì 18 aprile 2011

Fuga di primavera.

Quando ero bambino, avevo un barometro svizzero con una casetta di legno sopra.
La casetta aveva due porte.
Da una usciva un giovane in calzoni corti e cappello tirolese, e dall'altra mi pare una ragazza in dirndl. Rientravano insieme nella casetta se stava per piovere.
Al giorno d'oggi immagino che si potrebbe avere un barbone di legno intagliato che dorme sopra la grata della metropolitana per indicare tempo buono, e va sotto una galleria per indicare pioggia.

[H. Brodkey, Primo amore e altri affanni, Fandango 2011]

sabato 16 aprile 2011

Friggi delle ciambelle, scrive Paolo Nori.

Una donna andava al cimitero a lamentarsi col marito defunto di com’era dura la vita. Il guardiano, che non ne poteva più, di questa cosa, aveva detto, con voce d’oltretomba, da dietro un albero:


- Friggi delle ciambelle.
- E come faccio a friggerle? Non ho soldi.
- E allora non friggerle.
- E come faccio a non friggerle? Muoio di fame.
- E allora friggile.

[Il'ja Il'f, Zapisnye knižki (Taccuini), Moskva, Tekst 2000]

Mi riesce difficile pensare.

Ci ferimmo senza risparmio, confessando che eravamo entrambi irreparabilmente disonesti, incapaci di una sincera relazione, pieni di difetti. Finalmente, dopo un lungo silenzio, ripresi a parlare e dissi che avremmo dovuto cercare di andare d'accordo, ma non mi riuscì di persuaderlo. Un po' biasimava violentemente se stesso, un po' insultava me.
Era sorprendente, però, quanto affetto ci fosse nell'aria e quanto ci sentissimo tristi tutti e due, come tutto sembrasse senza speranza.

[H. Brodkey, Primo amore e altri affanni, Fandango 2011]

Favoletta.

 - Ahi- disse il topo, - il mondo diventa ogni giorno più stretto. Prima era così largo che mi faceva paura, correvo ed ero felice di vedere finalmente muri a destra e a sinistra in lontananza, ma questi lunghu muri si avvicinano tra loro così in fretta che sono già nell'ultima stanza e lì nell'angolo c'è la trappola nella quale cadrò.-
- Non hai che da correre in altra direzione- disse il gatto, e lo mangiò.

[Franz Kafka, Racconti, 1920]

1. Everything In Its Right Place



What was that you tried to say?

Fuoco in negativo.

Le mie mani avevano l'odore di una candela quando ci soffi sopra per spegnerla.
Carne bruciata.
Carne che scoppietta dentro piccole vesciche d'acqua.
Carne che rantola, mentre si sgretola lenta in bollenti gocce di cenere.
Plic ploc plic ploc.
Resti di me sul linoleum umido.
Un'incrostazione gommosa sotto le tue scarpe da ginnastica.
Ciaf ciaf ciaf.
Carne da mattatoio da infilare dentro un panino del Mcdonald's tra una foglia di polistirolo e uno strato di senape che sa di piscio, di quello che c'hai i reni malati e ogni volta che pisci vorresti morire, ma non muori, non muori mai.

La bruttezza.

La bruttezza è più umana.
E' potere.
E' una storia vera senza morale che comincia dalle mie forbici e finisce sull'acrilico fiorito delle mie maglie fortunate.
La bruttezza è un ghetto che si trova in casa mia, al primo piano nella mia stanza.
La bruttezza sono i geni del mio corpo che vendono l'anima al diavolo e il ricavato va tutto agli orfani dell'UNICEF.

[Viola Di Grado, Settanta acrilico trenta lana, E/O 2011]

venerdì 15 aprile 2011

Lo stato di grazia.

Esiste una particolare gradazione di mattoni rossi - un rosso cupo, quasi melodioso, profondo e venato di blu- che è la mia infanzia a St. Louis. Non è l'infanzia vera: ma quella finta, che si estende dal primo albeggiare della consapevolezza fino al giorno in cui si lascia la casa per entrare all'Università. Quella gradazione di mattoni rossi e fogliame verde è St. Louis in estate (l'inverno è soltanto un cielo grigio e un autobus affollato e impronte umide sul pavimento di linoleum della scuola), e quei mattoni e un cielo pallido sono la primavera. Sono anche la solitudine e lo strano, mortificato stupore del bambino la cui famiglia è stata colpita da una serie di sventure.
[...]
Nel mezzo di quella quiete e di quei mattoni rossi, c'era il mio quartiere, il luogo terribilmente familiare, dov'ero esule meno a disagio che in qualsiasi altro posto.
[...]
Il nostro appartamento era al terzo piano. Di solito, salivo per le scale posteriori, esterne all'edificio e sostenute da un'intelaiatura di acciaio. Le preferivo, una forma morbosa, come toccarsi un punto dolente per assicurarsi che ci sia ancora- perché erano ripide e brutte, con i bidoni della spazzatura sui pianerottoli e la biancheria stesa fuori ad asciugare.

[H. Brodkey, Lo stato di grazia, Primo amore e altri affanni, Fandango 2011]