lunedì 20 giugno 2011

Case in vetrina.

Parrà strano, ma la sola attrattiva che mi offrivano quelle desolanti camminate erano i negozi d'arredamento, assai numerosi, forse per via del fatto che vivevamo in un quartiere di famiglie piuttosto abbienti o, per dirla con un po' di risentimento sociale, un quartiere col quale c'entravamo assai poco. La vista di quelle case in vetrina mi incantava. Soggiorni magnificamente ammobiliati, stanze da letto linde e accoglienti.
Ad affascinarmi non era la qualità degli arredi, il design raffinato. Ero troppo piccolo per apprezzare simili cose. Quel che trovavo meraviglioso, di una bellezza quasi consolatoria, era l'ideale che esprimevano. Non avevo visto molte abitazioni oltre al modestissimo appartamento in cui vivevamo allora, ma mi rendevo conto che case come quelle potevano trovarsi soltanto nei negozi. Qualcuno avrebbe potuto acquistare un divano o un letto o una lampada o magari tutti gli articoli esposti, ma una volta trasferite in un vero appartamento quelle stanze avrebbero perso la loro magia. Soltanto lì, infatti, sigillate in pareti trasparenti, non sporcate dalle macchie sul tappeto, dalle bruciature di sigaretta sul divano, dalle beghe familiari; solo al riparo dalla contaminazione umana, avrebbero potuto conservare il loro ordine, la loro immacolata, disabitata perfezione.

[T. Pincio, Hotel a zero stelle, Laterza, 2011]

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