mercoledì 23 febbraio 2011

Rimini.

C'è Marta a casa mia.
I gomiti poggiati sul tavolo di truciolato della cucina.
Le gambe abbandonate distrattamente contro una mattonella sbeccata del pavimento.
Marta ha sempre avuto gambe così.
Due cavi bitorzoluti, tutti nodi e buchi, senza elettricità.
Gambe che, a toccargliele, non parevano sue.
Come una cosa dimenticata in un angolo e invecchiata lì.
Qualcosa che del mondo ha visto soltanto le pareti di una scatola di cartone.
- Com'è successo?- mi chiede.
Resto ancora qualche istante a fissare i suoi piedi nudi giocherellare con il triangolo scheggiato della mattonella. I piedi di Marta sono due api femmine che sgocciolano nel sole. Da qualche minuto vibrano leggeri, accarezzando in senso orario e antiorario la punta storta e rincagnata della mattonella rovente. Descrivono cerchi concentrici come gocce di paura, e spirali sempre più strette, in cui mi si strozzano gli occhi e vedo tutto come da lontano, col fuoco in mezzo, con le righe nere tirate sopra a cancellare le parole sbagliate.
Penso alle mie labbra che fino al mese scorso leccavano la figa di Marta in cerchi concentrici in senso orario e antiorario.
Uno sbuffo di fumo dalla sua bocca fa l'aria grigia all'improvviso.
- Fa caldo- sbotto.
Marta si alza dalla sedia e va verso la finestra. Si sporge sul davanzale, dondola avanti e indietro mentre si accende un'altra sigaretta.
Dal tavolo vedo piccole lacrime di sudore in controluce scivolare dalla sua fronte, giù lungo il naso e finire impigliate tra i denti, dove ci stanno tutte le parole che io non ho il fiato per dire e che Marta sa già e non capisce.
E' luglio, un luglio così strano, che ci fa i polmoni umidi e la faccia sudata, troppo caldo, davvero troppo caldo per continuare a starsene buoni senza perdere la testa.
- Giovanni-.
Quando suda, la pelle di Marta inizia a puzzare di fumo.
Le narici dilatate, ferine, da bestia notturna.
Le ascelle di Marta, invece, hanno l'odore della tromba delle scale dei vecchi palazzi, quelli coi soffitti alti e le pareti forti. Sugo fatto in casa e basilico. Pepe, qualche volta.
- Giovanni, che è successo?-
Si gira di scatto, con tutte le domande impiccate tra le rughe della fronte.
E una bocca amara, che mi chiede perché, e perché è la parola sbagliata, quella guasta, perciò io ci tiro un rigo nero sopra, come a uno scarabocchio.
- Sono precipitati dopo la curva. Lungo la scarpata. Lì è pieno di rovi di sterpaglie-.
Sono calmo.
Immagino cerchi concentrici sulle scapole di Marta e mi ci sciolgo dentro.
Aspetto che si giri di nuovo, ma rimane inchiodata al davanzale.
Un brivido percorre i contorni sbilenchi delle sue spalle.
- L'incendio è venuto subito dopo-.
Guardo il petto di Marta alzarsi e abbassarsi a un ritmo che mi fa da ninnananna e quasi m'addormenta.
- La polizia ha trovato i freni manomessi.
Tuo padre non ha perso il controllo, Giovanni. -
Sento che fa caldo, fa davvero troppo caldo e quando fa così caldo scoppiano gli incendi, è una cosa naturale, il naturale corso delle cose. Sento che voglio appiccare un incendio, voglio bruciare Marta, voglio bruciare la mia casa, ma resto zitto e non mi muovo.
- E' stata la valigia- dico ad alta voce.
Il silenzio tra di noi è una crepa bollente.
- Cosa? Quale valigia?- mi chiede Marta.
Si è girata, la maglietta le si è appiccicata al seno e alla pancia.
Disegno cerchi concentrici intorno ai suoi capezzoli.
- La valigia con cui volevano andare a Rimini. I miei non partono mai, Marta. E' già tanto se riescono a fare la spesa. -
Marta non parla, mi scruta curiosa nella penombra.
Mi si riempe il naso delle sue sigarette.
- E mio padre torna a casa il mese scorso e gli ridono gli occhi, Marta.
Non avevo mai visto ridere mio padre.
Dice che ha messo da parte un po' di soldi, abbastanza per portare la mamma a Rimini una settimana in vacanza quest'estate-.
Marta respira sempre più forte. L'odore di catrame mi dà alla testa.
- E mia madre si è messa a saltare come una bambina.
E poi ha tirato fuori quella valigia blu.
Da una scatola di cartone tutta sigillata con lo scotch.
Era così triste, Marta.
Non potevo fare altro.
Mi capisci?-

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