domenica 20 febbraio 2011

Pavese e Ferretti: la terra, la madre, una questione di sangue.

"Un'occasione così doverla perdere, e una ragazza che si sta rivoltando non poterla portare in un prato. Perché il bello della campagna è che tutto ha il suo odore, e quello del fieno mi dava la testa: un profumo che le donne, solo che abbiano un sangue un po' sveglio, dovrebbero stendersi. Guardo in su i pipistrelli che volano e mi vedo davanti, bella rosa, la collina del treno, col suo capezzolo sulla punta, e dei lumi sul fianco. Siamo in mezzo a due mammelle, dico; qui nessuno ci pensa, ma siamo in mezzo a due mammelle".

(Paesi tuoi, C. Pavese)


E' il 1939.
Pavese è alle prese con la stesura di "Paesi tuoi", la sua prima grande prova narrativa che vedrà la luce nel 1941.
Ne "Il mestiere" del 19 novembre '39 si legge: "Compreso, leggendo Landolfi, che il tuo motivo del caprone era il mot. del nesso tra l'uomo e il naturale ferino. Di qua il tuo gusto della preistoria:
il tempo in cui si intravede una promiscuità dell'uomo con la natura-belva. Di qui la tua ricerca dell'origine dell'immagine in quei tempi: la promiscuità di un primo termine (solitam. umano) con un secondo (solitam. naturale) che sarebbe qualcosa di più di un semplice fantastico: una testimonianza di un nesso vivo".

E' il 1994.
Giovanni Lindo Ferretti e i suoi C.S.I. hanno appena prodotto il loro nuovo album, "In quiete", che in chiusura vede la traccia "Del mondo".
Che fa più o meno così.
"E' stato un tempo il mondo giovane e forte/odorante di sangue fertile/rigoglioso di lotte, moltitudini/Dimora della carne, riserva di calore/sapore familiare e odore[...]"

Pavese e Ferretti sono due uomini agli antipodi.
Il primo, un animale da riserva, sempre al margine della cose, una voce narrante in esterni,
una faccia in penombra, una bocca che sorride disperata, di nascosto da tutti. Vorrebbe partecipare alla guerra, ma sa che non è la prima linea il suo posto. Lui è un soldato da retrovia, di quelli che la guerra la vedono solo da lontano, che non imbracciano fucili, ma se li puntano contro. Perché c'hanno il sangue guasto, un sangue marcio, che non feconda la terra e fa i figli malati. E' un sangue da scappati di casa, da chi in esilio ci muore e non ritorna alla terra che gli ha dato le ossa.
Il secondo, un partigiano della parola, sempre controvento, un salmodiante da trincea, un estremista del linguaggio, uno che ha scelto la voce per dire la guerra. Perché in lui la guerra s'è fatta sangue e parola e così hanno fatto la vita e la morte. E' un sangue che viaggia per il mondo, quello di Ferretti, ma sa tornare a casa, perché riconosce ancora gli alberi, i visi dei vecchi, l'ansimare dei cavalli. Non è un sangue da orfani, ma da chi una terra ce l'ha e non ha perso la voglia di cantarla.
Eppure questi uomini così diversi travalicano lo spazio, il tempo e la storia per finire uno addosso all'altro, nella preistoria dove l'uomo si accoppia alla bestia, seppellendo il razionale nell'anelito animale e nella liberazione degli istinti.
Le loro voci si incontrano dove il mito si trasfigura, dove il simbolo si fa verso e romanzo, dove il destino accade perché deve accadere e non si può rompere.
Canta Ferretti, "Ciò che deve accadere accade/ Per quello che ho visto/ Per quello che ho sentito/ Per sconcertante necessità".
Ananke, che è fato, destino e necessità inalterabile contro cui gli dei non possono niente.
Ananke è dovunque in Pavese.
Nella sua ossessione per il nostos (il ritorno a casa, che impossibile si rivelerà anche nel mito) nel rituale iniziatico, nei cicli stagionali governati dalla luna, nella metafora ricorrente della terra-madre che dà la vita e la toglie ed è sorella, donna, amante in cui si consuma l'incesto finale, che abbatte il tabù ultimo per decostruire le strutture sociali e le loro gerarchie. Così fa redivivo lo spirito tribale, che non è disordine né anarchia, ma è dominato da leggi diverse, da leggi di natura, che con quelle degli uomini non hanno niente a che fare.
Le colline delle Langhe, che in Pavese sempre sembrano mammelle, capezzoli di donna che allattano, sfamano e fanno sangue, tanto assomigliano a quegli scorci dell'Appennino che in Ferretti diventano sostanza altra, assumendo la forma del disumano, del selvaggio, dell'indomita energia della natura che crea e distrugge.
Canta Ferretti in proposito: " E' cavità di donna che crea il mondo, veglia sul tempo, lo protegge. Contiene membro d'uomo, che s'alza e spinge, insoddisfatto poi distrugge".
E' l'atto sessuale, nella prospettiva del rituale d'accoppiamento animale, decivilizzato, scarnificato dei significati sovrastrutturali, che è la genesi del tutto ed è a quel punto che è necessario tornare: in quel luogo entropico di conciliazione degli opposti tra ordine e disordine, luce e buio, caos e cosmos, apollineo e dionisiaco in cui si distrugge e si costruisce allo stesso tempo.
Dove il raziocinio viene meno ed è la follia, in quanto forma di invasamento, esaltazione religiosa, estatico trasporto che muove l'individuo al compimento del gesto.
Si legge ne "Il mestiere" il 10 luglio '47: " Dov'è l'interesse per il selvaggio, che pure t'incute? Quel che accade al selvaggio è di venir ridotto a luogo noto e civile. Il selvaggio come tale non ha in fondo realtà. E' ciò che le cose erano, in quanto inumane. Ma le cose in quanto interessano sono umane. Notato che Paesi tuoi e Dialoghi con Leucò nascono dal vagheggiamento del selvaggio- la campagna e il titanismo".

Pavese e Ferretti sono due voci da tragedia greca.
E la tragedia è mito che abbandona il dio e si incarna nell'uomo.
E' l'incombere umorale degli affetti del sangue, canta Ferretti in "Irata".
Dove non c'è catarsi, se non attraverso lo spargimento del sangue e tramite il fuoco, che lava la terra e la fa fertile di nuovo.
Così Gisella di "Paesi tuoi" viene presa alla gola dal tridente di Vinverra e il suo sangue, sangue di femmina, mestruo, rosso come rossa può essere la morte che dà nuova vita, finisce sulla terra a bagnare i covoni del grano. E fertile è il fuoco del Valino che incendia la sua cascina ne "La luna" o il falò fatto col corpo di Santa, bruciato dai partigiani alla fine della guerra.
Fertile come quella "dote primordiale, distanza siderale, matrilineare" di cui canta Ferretti.
Che è nel ciclo lunare, sul ritmo animale battente, sul battente pulsare.
Lì dove la morte segue naturalmente la vita.
Perché le cose così vanno, così devono andare.

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