giovedì 18 novembre 2010

Sullo spiegazionismo e d'altre malattie.

c'è un dato di fondo.
e stiamo qui per dirlo senza sentenziare troppo.
gran parte della letteratura contemporanea, di quella scritta da uomini e donne che nella data di nascita ci hanno numeri che vanno dal 1950 in poi, risulta troppo spesso affetta da una grave forma di patologia cronica con elevatissime percentuali di recidività, patologia a cui noialtri ci riferiremo d'ora in poi in gergo altamente tecnico con la definizione di spiegazionismo.
lo spiegazionismo non è sindrome da prendere sotto gamba, signori.
tutt'altro, più leggo e più mi rendo conto di quanto possa essere nociva al fine di rendere un romanzo potenzialmente molto buono una cagata pazzesca (sempre parlando in gergo altamente tecnico).
noi dell'equipe d'analisi critica, con questa faccia crucciata da scorbutici che ci ritroviamo, inviamo questa nostra sentita missiva con l'augurio che questa umile riflessione di carattere antro-filo-miso-sociologico venga accolta con un sorriso e non da troppe bocche storte.
mesi fa, in un'intervista online che feci ad antonio paolacci sul suo romanzo d'esordio, "Flemma", chiesi a questo gran bravo ragazzo quale fosse il messaggio di fondo che voleva lanciare nel romanzo.
e la sua risposta, quella che speravo sinceramente di leggere, fu più o meno questa:
"Nessun messaggio: volessi lanciare messaggi scriverei sui muri, invece che pagine e pagine di narrativa".
affermazione da cui noi dell'equipe intendiamo partire come dichiarazione manifesto dell'anti-spiegazionismo.
lo scrittore non deve fare politica, punto primo.
non deve cercare di persuadere o dissuadere elettori in un comizio di propaganda, strillare propositi programmatici per attirarsi il favore delle folle, lanciare proposte come bombecarta allo stadio. No, niente di tutto questo. Spesso si tende a dimenticare che l'attività principale di uno scrittore dovrebbe essere raccontare storie. Non spiegare il messaggio che sta alla base della storia.
perchè il messaggio (o i messaggi) c'è, questo non è che ve lo dobbiam spiegare noi.
ma non dovrebbe spiegarvelo neanche l'autore.
dovreste capirlo da soli, voi che leggete, noi che leggiamo.
non fa mica il descrittivista, lo scrittore.
lui la racconta la storia, non la descrive, non la spiega, non la sviscera.
non è suo compito imbrattare di colorati murales i muri delle vostre città interiori, più o meno desertificate, infiocchettando le pagine di messaggi che di subliminale c'hanno ben poco per urlarvi addosso a lettere cubitali che sì, è proprio questo quello che volevo farvi intendere, guardate quel personaggio, agisce così perchè non è nient'altro che la perfetta stereotipata e nientedimeno prototipica incarnazione del giovane trentenne in crisi alla ricerca di un centro di gravità permanente che magari il centro finisce pure per trovarlo (ma qua si inizierebbe a parlare di cattiva letteratura ed è un discorso troppo lungo, l'equipe si riserva di chiudere la parentesi per affrontare la questione in sede più idonea con una disposizione di tempo illimitata).
lo scrittore è diventato spiegazionista, ecco il problema.
spiega quello che vuole intendere, invece di suggerirlo tramite un gioco di continui rimandi e associazioni mentali di immagini/voci/colori/odori che dovrebbero scatenarsi nel lettore in tutta la forza del loro potere evocativo.
questo si sta perdendo in una buona parte della narrativa contemporanea: la componente poetica.
la capacità della parola di farsi correlativo-oggettivo di qualcosa che è altro, non è tangibile, non è rintracciabile tra le pagine del romanzo, ma è già dentro di te, tu che stai leggendo, proprio te, la capacità di ancorarsi a ricordi, frammenti, flash della tua memoria e storia personali di uomo e di donna che legge e assorbe, legge e introietta, legge e elabora la parola in un complesso processo di introspezione solo attraverso il quale il libro può diventare tuo.
invece in molti romanzi tutto questo manca, è già spiegato.
viene negato il piacere di cogliere il suggerimento, di mordere la parola e masticarla ben bene, sfibrandola tutta, nervo dopo nervo, fino a rifletterla in un gioco prismatico di luci e ombre a cui è chiamato a partecipare ed entrare in azione tutto il nostro potenziale immaginativo.
e lo capisco, non è solo colpa degli scrittori, che a vedere come son distratti certi lettori si sentono in diritto di svelarci il trucco.
è anche la lettura a mancare d'attenzione, ad essere privata di quella capacità di concentrarsi sulla parola e sul contesto e poi sulla parola decontestualizzata e di per sè considerata, che richiede interesse, pazienza e una lentezza necessaria all'elaborazione della sua pluralità di significati.
Tutta roba che, per come scorre la vita adesso, è un animale in via d'estinzione, in dirittura d'arrivo al macello (sarà una punturina del tutto indolore, ve lo promettiamo, una di quelle iniezioni che un minuto prima sei vivo e poi ti ritrovi in una bara, non temere, non ti accorgerai di niente).
Ma l'equipe a volte si sveglia che le gira bene e ci prova.
Che ci volete fare.

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