sabato 6 novembre 2010

perchè i simboli non sono mica malattie ereditarie, eh.

qualche mese fa mi è capitato di imbattermi nelle pagine di un blog di un ragazzo di vent'anni o giù di lì.
in uno dei post campeggiava nero su bianco a lettere cubitali una domanda.
"Ma dopo il novecento voi pensate davvero di poter creare qualcosa di nuovo?"
Ora ammetterete che il quesito è a dir poco spiazzante.
Voglio dire, per gente come me che al novecento gli ha visto fare l'occhiolino in curva, mentre era già con il culo al caldo su un aereo in prima classe, direzione Timbuctu, la risposta non è così scontata.
Quelli che si trovano ad avere vent'anni adesso hanno aperto gli occhi giusto alla fine dello show, coi coriandoli che cadevano sulle risate preregistrate e sui palloncini sgonfi, mentre la nike aveva già iniziato a fare pubblicità di scarpe di quelle che arrivavi alla fine senza capire se ti volessero vendere un profumo o una bottiglia di champagne. Ecco, mentre alcuni tra noi imparavano a ingoiare omogeneizzati, a sillabare tutti i nomi del parentado, a stringere amicizie a tempo indeterminato con misconosciuti bambini al parco e a diventarci amici per la pelle giusto quel numero d'ore al giorno richiesto da contratto, a contare fino a cento per poi scoprire che i numeri andavano avanti all'infinito, a scrivere senza andare fuori dalle righe e a colorare senza sbavare fuori dai contorni, roba che a me che la penna l'ho sempre impugnata a culoverso non m'è mai riuscita- ecco che il mondo fuori si stava avviando alla conclusione di qualcosa di grosso, qualcosa che nell'arco di poco meno di cinquant'anni aveva radicalmente cambiato le sorti del nostro più o meno improbabile presente.
Il novecento.
Cento anni in corsa verso la rottura.
Cento anni come il primo verso libero che si spezza senza punto e a capo.
E in tutto questo noi non c'eravamo.
Inutile insistere, ragazzi, noi non c'eravamo.
Non stavamo a Woodstock a raccontare di come Jimi Hendrix sapesse violentarlarsela a forza di baci, quella chitarra. E anche se ci fossimo stati, probabilmente non saremo qui per raccontarlo. Non c'eravamo mica quando rapirono Aldo Moro.  Non c'eravamo quando Ziggy Stardust è caduto dal cielo nella sua coperta di lustrini. Non ci siamo mai montati in macchina insieme a quelli squinternati di Kerouac e Cassidy e San Francisco l'abbiamo vista solo in cartolina. Non ci siamo mai andati ad ubriacare nei peggiori bar d'America insieme alle puttane di Bukowski e ci possono essere tutte le notizie che vuoi dal fronte occidentale, ma noi la guerra, quella che ti entra dentro casa, non l'abbiamo mai vissuta. Non c'eravamo quando Truffaut ha girato Jules e Jim. Non c'eravamo quando è saltata in aria la stazione di Bologna. Non stavamo a passeggiare a Venice beach quando Ray Mazarek ha detto a Jim Morrison che magari qualche cosa di buono da loro poteva pure uscire. Ne abbiamo aspettate tante di primavere, ma non insieme ad Arturo Bandini e alla sua bella messicana. Non li abbiamo visti arrivare i primi computer, quelli che ancora non ti preparavano la pasta al forno. Non lo abbiamo visto crescere quel ragazzino tutte ossa e capelli, nascosto dietro un paio di Ray Ban neri, che gracchiava profezie su signori tamburino e sui tempi che stanno per cambiare. Noi Robert Wyatt non ce lo ricordiamo in piedi. E di Pasolini leggiamo qualche frase sopra agli striscioni dei collettivi universitari, ma non è la stessa cosa. Per noi la guerra fredda è un mondo diviso a metà da due giganti troppo ingordi.
Perchè tutto questo, come è naturale che sia, ci appartiene solo di riflesso.
E' parte di noi, della nostra storia, di quella dei nostri padri.
Ma non sarà mai un vero e proprio tassello del nostro tessuto mitico, di quell'intreccio narrativo su cui abbiamo iniziato a camminare a quattro zampe e a costruire pareti di ricordi, frammenti pulsanti di tempo in scorrimento rapido.
Possiamo leggere quanto vogliamo, guardare film, ascoltare dischi, ma c'è qualcosa che si perde nel passaggio temporale del salto generazionale. E non si deve far finta di niente.
Questo non è più il novecento. Un novecento che voi, anzi noi, non abbiamo mai toccato veramente con mano. Non ne siamo stati i protagonisti, semmai ne siamo i figli, la diretta conseguenza di.
E poi ci siam visti catapultati tra anni che sono stati codici cifrati a troppi zeri.
E abbiamo dato la colpa a chi c'è stato prima di noi, perchè le colpe sono spesso dei padri.
L'accusa era di averci fatto nascere troppo tardi, quando il più bello era già finito.
Loro si son presi tutto il divertimento e noi la crisi ecologica del pianeta.
Perciò quello che ci è venuto in mente di fare è di smettere di pensare.
E così facendo smettere di creare.
Perchè il creabile, o tutto ciò che meritava di essere creato, se l'era rubato il novecento e a noi non rimaneva che distruggere o imitare.
E la pigrizia ha vinto su tutto, quello che ne è uscito fuori è una copia decontestualizzata.
Abbiamo ereditato, come malattie genetiche, i simboli degli anni '60, '70, '80 e ce li siamo infilati nei cappucci delle felpe, tra i lacci delle converse, nelle borse di cuoio. Siamo tornati a ballare sulla Rettore, mentre nei locali più in le ragazze si strappavano i capelli per "Help me". Ci siamo fatti crescere i capelli fino al culo, poi ce li siamo cotonati e spettinati tanto quanto basta per darci una parvenza di pensatori attenti e intenti.
I pensieri, li portiamo come si portano gli occhiali da sole d'inverno nel pieno di una bufera di neve.
Siamo diventati noi stessi, pelle e tutto quanto, simboli di una generazione che non è la nostra e che non rimanda a niente che ci riguardi da vicino. Siamo finiti per essere correlativi-oggettivi di qualcosa che non evoca, non suggerisce, non pone domande, ma propone solo simboli svuotati dei loro rispettivi significati.
Espone la situazione così com'è.
Un rifiuto.
Con la voglia di tornare a quell'età dell'oro tanto vagheggiata quanto mai conosciuta.

E perciò quando mi è capitata davanti agli occhi questa domanda, mi è venuta subito la bocca storta.
Cazzo se si può creare qualcosa di nuovo dopo il novecento.
Basta uscirne, dopo aver preso la consapevolezza di non esserci mai veramente entrati, per inciso.
Dovete crearli voi, i vostri nuovi simboli.
Imparare il novecento e poi dimenticarlo.

Si può creare qualcosa di estremamente distruttivo.
Che abbia la potenza di un detonatore, il sapore dell'esplosione finale.
E poi ci potremo togliere gli occhiali.
E finalmente tuffarci in questo nostro sole viola artificiale.

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