La premessa è che è domenica, manca poco più di un mese a natale, le commesse dei supermercati hanno già messo su la faccia da cartelloni pubblicitari ambulanti, quella che mi fa crescere i sassi nello stomaco, che tra lacrime di cioccolata al peperoncino e bolle da abuso di pandoro mi vuole dire:
"Sono l'ultimo torroncino al latte di soia con i cinque cereali infilzati dentro come chiodi che se mai ti venisse voglia di addentarmi ci ho il numero del dentista convenzionato sul retro della confezione, ma cazzo ti costa, potresti mettermi al posto del centrotavola, sedarmi, farmi a pezzi e sdraiarmi su un piattino come uno di quegli antipasti che ritiri fuori a ogni natale, senza neanche toglierci la polvere, tanto quelle bocche da cane affamato dei tuoi nipoti ingoierebbero pure le colate d'asfalto e gli sembrerebbe di mangiare le patatine fritte, che, a proposito, sono sullo scaffale a destra, reparto quattro".
Ecco, questo è il motivo per cui evito di andare al supermercato da novembre in poi.
Ed è anche la ragione per cui di questi ultimi tempi a me, e all'equipe tutta, prudono le mani come non mai e ci viene spesso voglia di buttarla in rissa. Per questo vi chiediamo già da ora di essere clementi fin quando non vedremo quell'11 dopo il 20, che a noi sa di apocalittico e ci fa tranquillizzare un pò.
Ma oggi l'equipe tutta vorrebbe sottoporvi uno dei suoi studi di natura etimologica, che la lingua è importante, soprattutto quella in cui uno decide di scrivere.
Scrivere.
Ripetetelo ad alta voce per tre volte al dritto, poi al rovescio, poi anagrammatelo.
No, d'accordo, non abbiamo di tali pretese, ditelo a voce alta solo una volta.
Ora, il qui presente membro dell'equipe vi racconta un aneddoto epifanico della sua perplessa infanzia.
E' una sorta di ricordo audiovisivo, a dirla proprio tutta.
Che la mia testa ha sempre funzionato così, ricorda per accoppiata di suoni/immagini, quando non ci ha proprio i buchi neri. E' il ricordo della mano destra della sottoscritta, dimensione sei centimetri per sei, che impugna per la prima volta una penna tutta storta e già imbronciata, sputando sul foglio quel gran monumento di scarabocchio, che non era un disegno, nè una parola, nè segno d'alfabeto ancora decifrato.
E in quell'istante infinitesimale di contatto tra la penna e il foglio, quel suono da paralisi.
Scrat.
O qualcosa di molto simile a scrat. Tipo Sgrat. O Scrag. O Scrab.
Ve l'ho detto che ho una pessima memoria.
Ma il crampo nella pancia era quello, no?
Il bianco che si strappa e lascia il posto a qualcos'altro.
Lascia spazio al segno in un oblungo filamento neroblu.
E la carta è terremotata da uno smottamento improvviso, con tutta la terra, il fango e le rocce che precipitano dall'alto ed è un alluvione di melma e di schifezze che scende giù da qualche incrocio neurale autostradale e prende le strade più sterrate che si ritrova davanti e rotola e intralcia e si catapulta e s'aggrappa alle righe e imbratta tutti i margini di traverso e ti viene da arricciare il naso e da tenerti un pò la pancia perchè non sai com'è, ma su quel foglio ti ci senti spiaccicato tu, proprio a quattro zampe, tu, che ancora non ti reggi in piedi da solo e senti distintamente che ti ci sei avvinghiato su peggio di una stella marina e che puoi averci tutte le zattere che ti pare, a mollo capita che ci finisci lo stesso e magari il maremoto ti si ingoia tutto e ti trascina giù, come una di quelle barche da inizio novecento, col legno marcio e tutto quell'oro dentro perso per sempre.
Ma così doveva andare. E da bambino lo sai, lo intuisci, per lo più e non ti prendi paura perchè hai una corazza invulnerabile che non c'è morte che tenga, la morte già la sai, tu.
Poi però cresci e ti insegnano a scrivere dentro le righe e a mettere le parole in sequenza, a costruire il senso in paragrafi, a rispondere a domande aperte in tre righe su un argomento che richiederebbe cinquanta pagine di foglio protocollo. Ecco.
E ti dimentichi che scrivere sta tutto in quella sequenza consonantica trilettera all'inizio.
Cazzo se non ti dice tutto quello che c'è da sapere.
Almeno per iniziare bene, intendo.
Che scrivere voglia dire incidere, intagliare, scolpire, scalpellare, scalfire, grattare, raschiare, raspare.
Scavare una buca di cui non vedi il fondo e avere il coraggio di infilarci la mano.
Senza tirarla via prima che il mostro dentro t'abbia morso.
Che il mostro c'è, a ognuno il suo, non pensare di farla franca.
Ecco perchè scrivere fa scrat.
E non t'aiuta mai a trovare una risposta che sia una.
E va bene così.
Scrivere: etimologia.
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