Non è un discorso semplice.
Non nella pratica, perlomeno.
Parlare di etichette, letteratura di genere, schemi fissi, cliches feticcio.
Ci si chiede in che modo lo scrittore/scrivente abbia il dovere di approcciarsi alla pagina bianca, quali direttive debba prendere, quali direzioni seguire, in che contesto inquadrare quello che produce.
La realtà dei fatti è che le etichette e le divisioni per genere, utili a far ordine negli scaffali delle librerie, non corrispondono spesso a parametri obiettivi e vengono decise a tavolino, in base a criteri del tutto arbitrari.
Ridurre l'intero impianto strutturale di un romanzo, i meccanismi di base del suo intreccio, le dinamiche di varia natura che regolano i rapporti tra i personaggi alla definizione di un solo genere penalizza di molto il lavoro in sè, porta in evidenza unicamente quei tratti serializzati che si presentano sempre uguali, in situazioni spesso analoghe, in tutti i romanzi riconducibili a quel determinato genere. Attribuire etichette implica marchiare a fuoco, dare un ruolo, un nome, una funzione, creare delle aspettative in base a tutto quel che già si sa relativamente a un dato genere e che da quel genere ci si aspetta. Non si tratta di eliminare l'etichetta, è chiaro.
C'è bisogno di definire, inquadrare, contestualizzare per non perdere le coordinate.
Ma dovrebbe essere un dovere per scrittori, editori, lettori e critici istituzionali o meno, cercare di rifuggire il più possibile da parametri già fissati nella valutazione di un lavoro nuovo. Dovrebbe essere un dovere sentito andare a scomporre i vari aspetti su cui si fonda l'opera, non tirare fuori quello più evidente o più facilmente inquadrabile, facendolo passare per l'unico aspetto riscontrabile.
Scrivere di un omicidio non fa di te uno scrittore di gialli.
Scrivere di sesso non ti rende un autore di letteratura erotica.
Scrivere di torture e perversioni non ti dona all'istante il fascino del gotico.
Scrivere d'amore non ti fa piombare fortunatamente nell'universo rosa dei romanzi harmony.
Una grande responsabilità se la devono assumere gli scrittori, in questo senso.
Cercare di sperimentare quanto più possibile in modo tale da dare vita a qualcosa che non possa trovare una sola definizione. Che abbia fonti e generi di ispirazione, beninteso, ma che li sintetizzi e li riutilizzi in maniera originale, rendendoli parte del substrato più profondo. Recuperare i modelli e inserirli nel tessuto, così da disorientare, creare scompiglio, perplessità.
Il lettore, una volta arrivato all'ultima pagina, deve chiudere il libro e domandarsi che diamine di libro abbia appena letto. Non deve poter avere la certezza di dire soltanto: "Ho letto un noir/un romanzo d'amore/un'autobiografia/un pezzo di satira". Deve poter dire che ha letto tutto questo mescolato assieme.
Ci sono autori di nuova generazione che stanno spingendo molto in questa direzione e hanno già ottenuto ottimi risultati. Partire da un pretesto (ex: un omicidio, una sparizione, un sequestro, se si parla di lavori riconducibili parzialmente al noir e annessi) che finisce poi per diventare elemento di fondo, accessorio secondario della narrazione, anello di congiunzione tra le diverse storie, punto di contatto tra i vari personaggi.
Un pretesto che occupi più o meno spazio nella narrazione, necessario a far emergere qualcosa di diverso: un messaggio che faccia da filo di collegamento ideologico tra i vari passaggi, farlo trasparire attraverso gli eventi, le azioni ed i pensieri, mentre l'evento centrale che dà avvio al romanzo può giungere parallelamente alla sua risoluzione o meno.
In sintesi, le storie non andrebbero chiuse in compartimenti stagni come accade di frequente, non dovrebbero essere ritagliate per rispettare certi canoni da copione, impianti narrativi standard e tratti distintivi di genere.
E' necessario spaziare in ambiti diversi, sconfinare dal proprio territorio e invaderne altri con prepotenza.
Piantare la bandiera in ogni terra e così facendo in nessuna.
E' impossibile descrivere il mondo in un romanzo, se ne può parlare da alcune angolazioni, si possono scegliere prospettive piuttosto che altre, si possono trattare temi specifici, ma non chiudiamo troppo i confini a questo mondo da raccontare. Se ne vede troppo spesso la stessa piccola porzione.
Rinunciare alle etichette comporta per forza di cose una serie di rischi.
Primo fra tutti l'incomprensione che deriva dal mancato inquadramento.
Tutto quello che non può trovare definizione necessariamente sfugge, è inafferrabile.
Ma la bellezza esercitata da tutto ciò che è più incomprensibile non ha niente a che vedere con il potere rassicurante dato da una definizione.
Perciò mischiate i generi il più possibile, lasciate scorrere le vostre storie così come nascono senza porre troppi impedimenti teorici lungo il percorso. E' un grande passo per sfuggire all'omologazione.
E gli editori, da parte opposta, dovrebbero imparare a superare essi stessi i limiti di genere e aprirsi alla pubblicazione o anche alla semplice lettura e promozione di lavori nuovi, sperimentali, che trovino il loro punto di forza proprio in questo.
Nell'impossibilità della definizione.
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