mercoledì 2 giugno 2010

Non è più tempo di mettersi sulla strada.

Un po' alla volta, quasi in punta di piedi, stanca di un mondo che ha smesso di ascoltarla, la "beat generation" si sta trasferendo in un'altra dimensione, o comunque si voglia definire il mistero dell'al di là. Domenica sera, in una clinica del Vermont, se n'è andato Peter Orlovsky, che unì il suo nome a quello di Jack Kerouac, di William Burroughs, di Gregory Corso e degli altri protagonisti della grande stagione della controcultura americana. Ma che, nella vicenda dei "battuti e beati", resterà per sempre come colui che fuse il suo percorso esistenziale e poetico con quello del più grande esponente del movimento letterario che sconvolse l'America tra anni 50 e 60, Allen Ginsberg, l'autore dell'Urlo.

I beat se ne vanno, uno dopo l'altro.
Cose che accadono, reimpasto generazionale.
Quello che mi spaventa è che molti dei loro posti rimarranno vuoti.
Questa generazione non sa come rispondere.
Non ha nessuno da mandare in prima linea.
Perciò manda tutti nella bocca del leone.
Ecco, sì, questa è roba che mi spaventa.

Muore l'amore beat di Ginsberg.

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