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martedì 13 settembre 2011

Il comico è cianuro.



Prima o poi, se sopravviverò, troverò il tempo di stilare un saggio sull'importanza del comico in Kafka, il più grande pornografo e anche pornomane della storia. Non è Sade. Il fantasma sadiano non ha nulla a che vedere con l'eros o il porno. Ho cominciato a leggere Kafka a quindici, sedici anni, ma non ero pronto. Non c'entra nulla lo scrittore di Praga con la coscienza. I critici letterari sono fuorvianti. Kafka è un monumento comico al concetto di porno. Parlo del freddo cadaverico del comico.
[...]
Mi sono espresso alla poveraccia un attimo fa. Parlare di "concetto di porno" è uno scadente ossimoro. L'"osceno" è per definizione quanto si sottrae al concetto. In quanto al "comico" non va mai confuso con la "commedia" o, peggio ancora con il "buffo". Così come il sentimento del "tragico" non va mai confuso con la "tragedia". Commedie e buffoni mi annoiano e mi ripugnano. Sono ammiccanti, intrattengono la gente, sono schifosamente sociali e socievoli. Gonfiano le gote e strabuzzano gli occhi come i rospi da cortile e si gonfiano a ogni applauso. Vogliono essere trasgressivi e sono consolatori. Repellenti.
Il comico è tutto l'opposto. Quanto di più asociale e libertino si possa concepire, se mai fosse concepibile. Comico e porno hanno ingoiato la mia vita, tutte le mie vite, come un serpente a sangue freddo. Fissando il buio a occhi chiusi come scriba e come attore, ho riso fino a farmi male. Il comico è cianuro. Si libera nel corpo del tragico, lo cadaverizza e lo sfinisce in un ghigno sospeso. C'è niente di più comico di un cadavere o di un abbacchio a testa in giù, sospeso a un gancio, di qualunque macelleria? [...] Il tragico che non si regge in piedi. Tutto ciò, questo riso malato, in Kafka abbonda. 

[C. Bene, G. Dotto; Vita di Carmelo Bene, Milano, Bompiani, 1998]

lunedì 25 aprile 2011

(Nostos # 2)

Sono ritornato, ho attraversato l'ingresso e mi guardo intorno. E' il vecchio cortile di mio padre. La pozzanghera nel mezzo. Attrezzi vecchi, inservibili, intricati tra loro ostacolano il passaggio alla scala del solaio. Il gatto sta in agguato sulla ringhiera. Un panno a brandelli, avvolto un giorno per gioco intorno a un palo, si agita al vento. Sono arrivato. Chi mi riceverà? Chi aspetta dietro la porta della cucina? Dal camino esce il fumo, si sta bollendo il caffè per la sera. Ti senti a tuo agio, senti di essere a casa tua? Non lo so, sono molto incerto. E' la casa di mio padre, ma freddi stanno gli oggetti l'uno accanto all'altro, come se ciascuno badasse ai fatti suoi che in parte ho dimenticati, in parte mai conosciuti.
Pur essendo figlio del babbo, del vecchio agricoltore, come potrò essere utile, che cosa sono per loro? E non oso bussare alla porta della cucina, ascolto soltanto da lontano, da lontano sto in ascolto, in piedi, ma non in modo che mi si possa sorprendere a origliare. E siccome ascolto da lontano, non afferro nulla, odo o credo forse soltanto di udire un leggero ticchettio d'orologio che mi pare mi giunga dai giorni dell'infanzia. Ciò che si svolge in cucina è un segreto di coloro che vi stanno e che me lo nascondono. Quanto più si indugia fuori dalla porta, tanto più si diventa estranei. E se ora qualcuno aprisse la porta e mi rivolgesse una domanda? Non sarei io stesso come uno che voglia custodire il suo segreto?

[F. Kafka, Ritorno, 1920, Racconti]

sabato 16 aprile 2011

Favoletta.

 - Ahi- disse il topo, - il mondo diventa ogni giorno più stretto. Prima era così largo che mi faceva paura, correvo ed ero felice di vedere finalmente muri a destra e a sinistra in lontananza, ma questi lunghu muri si avvicinano tra loro così in fretta che sono già nell'ultima stanza e lì nell'angolo c'è la trappola nella quale cadrò.-
- Non hai che da correre in altra direzione- disse il gatto, e lo mangiò.

[Franz Kafka, Racconti, 1920]