mercoledì 29 dicembre 2010

(con il naso fuori. proprio fuori dalla faccia)

« Anche se non lo vuole, questa città imparerà a conoscere i riti segreti di Bacco »



(vv. 39-40, Le baccanti, Euripide.)


Non credo che sia soltanto un problema di dissociazione mentale degli editori.
La follia è la scusa più comoda per giustificare un errore, si sa.
Né tantomeno di stupidità.
Anche se ci si riserva il privilegio del dubbio, a riguardo.
Né esclusivamente di strategie di marketing o di selvagge leggi di mercato.
Perchè va bene che sono i soldi che fanno girare il mondo, ma non basta.
Credo che il problema dell'editoria in Italia abbia motivazioni ben più profonde, radicate nel background storico-culturale del paese, che traggono linfa vitale da un sistema di valori e di capisaldi, strettamente connessi con l'etica cattolica. che hanno condotto in passato e continuano a condurre tutt'ora il cittadino italiano standard a nutrire piena fiducia in meccanismi quali: la redenzione dal peccato, l'espiazione della colpa, il pentimento e la conseguente assoluzione tramite concessione del perdono e la resurrezione, concretamente intesa come rinascita, ripresa, risalita dal basso verso l'alto.
Pertanto da una condizione non religiosamente accettabile a una condizione altra, di approdo alla salvezza tramite il ricongiungimento con la fede o dono della grazia.
Ecco, tutto questo può essere letto fuori da un'ottica religiosa.
Buttiamola in letteratura.
E' la realtà innegabile dei fatti che se domattina un david foster wallace provenienza italia andasse a imbucare il suo bel manoscritto, da ventiquatrenne imberbe, esordiente e completamente fuori quadro, ci sarebbe il 90 % di possibilità che il suo sistema della scopa venisse respinto con tanto di lettera di rifiuto che pare un sorriso a trentadue denti, ma che è in realtà soltanto un modo da signorine perbene per consigliarti di andarti a fare un giro da un bravo psichiatra.
La realtà dei fatti è che con tutta probabilità david foster wallace incontrerebbe una notevole difficoltà a farsi pubblicare in questo paese.
Questo non succederebbe mai (non è d'altronde successo) in america.
E in tutto questo la natura del background è la chiave per comprendere pienamente la differenza di realtà editoriali che si è venuta a determinare tra l'italia e l'estero.
Voglio dire, Wallace viene pubblicato in italia.
E' stato preso, tradotto, pubblicato prima da Einaudi. Poi ripreso, ritradotto, ripubblicato da Minimum Fax, casa editrice per cui continua a rappresentare un prodotto di punta, forse uno dei pochi a dircela tra noi, sul piano vendite.
Questo ci porta automaticamente a dedurre che c'è una parte di popolazione che legge Wallace.
Seppur elitaria, ma c'è.
C'è chi legge De Lillo, Pynchon, Barth e gli altri grandi padri americani.
Perlomeno, se la percentuale dei lettori è esigua rispetto al totale, resta il fatto che c'è un gruppo di editori a larga distribuzione che pubblica questi autori. Ma che, se tali autori fossero italiani, non li pubblicherebbe.
E il perché di questo fenomeno sta tutto nella nazionalità.
Sono americani che parlano di americani e di america.
Non di italiani e non di italia.
Rappresentano qualcosa di distante, raccontano crolli, cadute, psicosi, scenari di distruzione che avvengono fuori dai confini del paese e che unicamente per questo motivo non riescono a scalfire la campana di vetro in cui il lettore italiano, campanilista spesso dalla nascita, crede di poter restare a guardare il mondo frantumarglisi attorno, senza la necessità che il suo tempio di rassicuranti certezze venga bombardato.
Ed ecco la stupidità del lettore, sì.
Che non è solo stupidità.
E' anche voglia di rimandare l'incontro con l'inevitabile.
Gli italiani non lo accettano, l'inevitabile.
Pretendono che almeno entro i loro confini, nei confini delle loro pagine, la morte abbia una spiegazione, gli eventi prendano direzioni che alla fin fine trovano sempre una risoluzione positiva, i moventi di ogni azione siano giustificabili col ricorso al raziocinio in ogni circostanza, che gli accadimenti siano frutto di geometrie prestabilite e calcoli logaritmici.
Non accettano che come nella realtà anche nella letteratura i fatti sfuggano al controllo.
Gli americani, forse, hanno pretese diverse.
E' come se questo scontro con l'inevitabile ne uscisse esasperato.
E non c'è dio che tenga, nè assoluzione, nè pentimento.
Resta soltanto la necessità di entrare in contatto diretto con il lato oscuro per provare a conoscerlo.
E anche in quel caso senza la certezza di portare a segno il tentativo.
Sono scrittori, gli americani, che tratteggiano con disperata ironia, con divertente sarcasmo e con scritture spesso schizofreniche, personaggi e ambientazioni al limite del surreale, ma che proprio per la loro natura borderline finiscono per uscire fuori dalla pagina e mettersi a camminare per strada.
Finiscono per diventare vivi.
E allora sì che finire un romanzo vuol dire uccidere i propri personaggi.
Sono puntati all'esterno, gli americani.
Raccontano quello che c'è fuori per criticare ciò che c'è alle fondamenta.

E mi è venuto in mente questo flash di me tra i banchi del liceo.
Quando si leggeva Euripide, per essere più precisi, la Medea.
L'unica grande tragedia greca senza catarsi finale.
E mi ricordo bene di un fatto che ai tempi mi aveva colpito e che ora torna utile per spiegarvi che la questione è cosa vecchia e che per svecchiare, si sa, bisogna metterci una pietra sopra senza tornare indietro.
Proprio come fa Medea, che regala a Glauce, futura sposa del marito Giasone, una veste stregata che la farà morire nelle fiamme; e uccide i figli, prodotto primordiale del suo amore per Giasone, che rimane solo sulla scena, in ginocchio, con la testa fra le mani, mentre Medea fugge sul carro del sole e non si volta.
Beh, mi è tornato in mente che le donne d'Atene accettassero che sulla scena venisse raccontata la storia di Medea perchè Medea era una barbara.
E una donna d'Atene non sarebbe mai stata una strega.

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