sabato 2 ottobre 2010

(perchè il giallo è troppo acceso, il rosa fa troppo bambola gonfiabile e i poliziotti non sempre servono).

facciamo un gioco con la lingua.
(quella italiana, che pensate).
senza prenderci troppo sul serio, però.
che alla fine son solo parole messe una dietro l'altra.
e non ci si deve incazzare così tanto, che c'è troppo chiacchiericcio e finisce che la musica non la sentiamo più. e la musica viene prima delle parole, no?
io non è che me ne intenda molto di polizieschi, mirabolanti signore in giallo e non ho la più pallida idea di quale lavanderia potrebbe mettere a posto il caro vecchio e logoro impermeabile del tenente Colombo.
e ve lo scrivo con tutta onestà. non son cose, queste, che mi hanno mai interessato.
sono soltanto una persona che legge. che guarda la vita scorrere e le piacerebbe ritrovarla sparata in bianconero su un pezzo di carta (che pure quello in cui ci incartate la pizza mi va bene, mica ho troppe pretese, io).
da persona che legge e che (più o meno, in teoria, secondo biologici parametri) vive, trovo piuttosto innaturale e limitante categorizzare quello che leggo in un genere specifico piuttosto ad un altro. Innaturale perchè la vita non categorizza, siamo noi che la categorizziamo. Badate bene, facciamo lo stesso errore quando viviamo la vita e quando la interpretiamo. Mettiamo dei paletti allo scorrere dinamico e inarrestabile del vivere, cerchiamo in ogni modo di disegnare uno spazio fisso tutto per noi, di delineare dei confini che ci permettano di distinguere noi stessi da tutto ciò che è altro, che non è noi, per non confondere il soggetto con l'oggetto.
ed è giusto così, abbiamo bisogno di punti di riferimento, di certezze, di una base solida su cui puntare i piedi e costruire qualcosa che non ci scivoli da sotto il culo. ci serve una terra da poter dire nostra. ci servono delle definizioni per inquadrare la realtà, perchè abbiamo bisogno di garanzie che ci rassicurino, che ci facciano da sedativo e che ci riducano il panico, che di azzerarlo non se ne parla proprio.
a questo servono le etichette, nella vita e nella letteratura, a nient'altro.
a capire in che cazzo di posto ci troviamo, chi abbiamo davanti, cosa ci può attendere.
perchè gli stereotipi esistono ed esistono forme più o meno prototipiche di vita e di letteratura a cui siamo liberi di avvicinarci, a seconda delle esigenze del momento.
detto questo, le etichette così come nella vita, anche sulla quarta di copertina non stanno proprio da dio.
è oltremodo antiestetico prendere in mano un libro e malauguratamente leggere (magari anche con qualche punto esclamativo di troppo) che il tizio con la faccia spiaccicata in quarta è considerato un sacro nome del giallo. o del romanzo rosa. o del giornalismo di inchiesta. o del gotico fantascientifico con sfumature nerd.
se così fosse, voglio dire, se dovessimo fermarci qua, non avrebbe senso leggere.
so già a cosa vado incontro.
omicidio. detective. autopsia. tracce. indizi. depistaggio. pista giusta. scontro a fuoco finale. omicida in manette, detective in jacuzzi con puttane a seguito per festeggiare la vittoria/detective stecchito dall'omicida che fugge e diventa latitante.
non è tutto qui.
e non dovete ridurcelo voi, leggendo, scrivendo e dando definizioni.
le etichette servono per dare coordinate generali, questa è la funzione che le rende indispensabili.
è chiaro che quando parlerò dei kraftwerk dovrò spendercele due parole sull'elettronica, cosa che non dovrò fare se mi troverò amabilmente a discorrere della schizofrenia di sid vicious e della scompostezza demoniaca di anarchy in the u.k.
per dire, tutto questo dibattito sul noir non è più divertente.
perchè è stato portato all'esasperazione.
la volete sapere la mia sul noir?
tutta la letteratura dovrebbe essere noir.
perchè la vita è noir.
per questo all'inizio di tutta questa pantomima vi ho chiesto di riflettere sulla lingua.
noir significa nero.
il nero ha a che fare col buio, con l'assenza, con il senso di mancanza, con la privazione dei sensi, con il crollo delle certezze, con lo stato di crisi, con l'occultazione dell'identità, con la negazione dell'io e del sistema di condizioni standard in cui l'io si trova ad agire, a pensare, ad avere un peso.
il nero è lo sgretolarsi degli affetti, l'addio dell'amante, la morte di un figlio, un letto matrimoniale occupato solo per metà, un treno che parte e un paio d'occhi che vedrai tra chissà quanto. il nero è la distanza geografica e mentale tra la gente. è l'incomunicabilità che non apre spiragli alla comprensione, all'interazione, al contatto umano. il nero è la collisione senza ritorno. è il contrasto che non si ricompone. è il punto di saturazione che non si ristabilizza, è il limite che si supera senza autoreverse.
il nero è qualcosa che si rompe e cambia il corso degli eventi.
e cambia te, cazzo.
perchè ci sei tu in mezzo agli eventi.
ci sei tu, in mezzo alla tua vita.
che devi agire, parlare, pensare, esserci, in definitiva.
ci sei tu e non hai più uno spazio tuo, non trovi più le coordinate giuste, non riesci ad incastrarti nei pieni e vuoti della vita, mentre la terra ti si fa nemica e il tetto te lo strappano dalla testa.
che poi succede all'improvviso, a volte senza pianificazione.
il nero, spesso, è preterintenzionale.
è al di là della tua volontà e non lo puoi controllare.
il nero è nell'abitudine che prende il posto dello spirito vitale, è nell'inerzia che ti fa vivere perchè ormai devi arrivare alla fine, nelle incrostazioni dei litigi familiari, di tutti quei silenzi annodati, dei tempi morti e dei sogni presi a coltellate.
il nero è nell'abuso di potere, nel lavoro in nero, nei diritti negati ai lavoratori, nella catastrofe ecologica del pianeta, nelle facce tristi  delle commesse nei supermercati, nell'avvelenamento da fast-food, nel sole cancerogeno, nelle rivoluzioni interrotte, in quelle finite nel sangue e in quelle mai avvenute. il nero è nella censura dell'informazione e nella disinformazione, ma ancora di più nella mancanza di curiosità.
il nero è nella vita.
perciò una proposta ve la faccio io.
basta coi colori.
una vita solo in bianco e nero.
matita e china.
contro la carta.

che dite, ci proviamo?

4 commenti:

  1. Ottima analisi.
    Che il noir basti cambiargli nome e farlo diventare nero perché diventi subito una cosa seria è una bella intuizione.
    Però c'è un però: esiste anche il rosso. il rosso non lo puoi togliere mai.

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  2. eh, pure tu hai ragione.
    però un colore per volta.
    magari un'altra intuizione ci viene.
    abbi fede.

    (a meno che il rosso non lo facciamo diventare rouge. questi francesi del cazzo, aaah.)

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  3. "il nero è nella vita.
    perciò una proposta ve la faccio io.
    basta coi colori.
    una vita solo in bianco e nero.
    matita e china.
    contro la carta.
    che dite, ci proviamo?"

    ci stiamo attrezzando, ragazza.
    ci stiamo attrezzando. un po' di pazienza.
    (pezzo stupendo, per inciso.)

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  4. Chiunque tu sia, grazie - anche per avermi linkata :)

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