venerdì 15 aprile 2011

Lo stato di grazia.

Esiste una particolare gradazione di mattoni rossi - un rosso cupo, quasi melodioso, profondo e venato di blu- che è la mia infanzia a St. Louis. Non è l'infanzia vera: ma quella finta, che si estende dal primo albeggiare della consapevolezza fino al giorno in cui si lascia la casa per entrare all'Università. Quella gradazione di mattoni rossi e fogliame verde è St. Louis in estate (l'inverno è soltanto un cielo grigio e un autobus affollato e impronte umide sul pavimento di linoleum della scuola), e quei mattoni e un cielo pallido sono la primavera. Sono anche la solitudine e lo strano, mortificato stupore del bambino la cui famiglia è stata colpita da una serie di sventure.
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Nel mezzo di quella quiete e di quei mattoni rossi, c'era il mio quartiere, il luogo terribilmente familiare, dov'ero esule meno a disagio che in qualsiasi altro posto.
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Il nostro appartamento era al terzo piano. Di solito, salivo per le scale posteriori, esterne all'edificio e sostenute da un'intelaiatura di acciaio. Le preferivo, una forma morbosa, come toccarsi un punto dolente per assicurarsi che ci sia ancora- perché erano ripide e brutte, con i bidoni della spazzatura sui pianerottoli e la biancheria stesa fuori ad asciugare.

[H. Brodkey, Lo stato di grazia, Primo amore e altri affanni, Fandango 2011]

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