giovedì 11 marzo 2010
Fantasie orfane in cerca di storie. (Perchè di bambini è difficile trovarne). [Rileggendo "Fascia protetta", AA.VV.]
Qualche giorno fa mi è capitato di tornare a casa a tarda notte, quasi le quattro del mattino.
Ho sbattuto le palpebre un paio di volte per abituarmi a quel buio immenso che mi rapiva la voce, paralizzava il respiro, scribacchiava bianconeri sui colori fuori, da discoteca anno 3085, fluorescenze installate a forza sulle risate vuote della gente al pub, sui miei sorrisi senza sonoro, sulle mie parole che non escono quasi mai bene e muiono lì, tra i denti e le labbra, finiscono giù nel dimenticatoio delle fantasie anestetizzate e delle storie orfane. Quelle che da bambino ti venivano in mente all'improvviso, ti ricordi, quegli attacchi di genio che morivi dalla voglia di raccontare a qualcuno, non solo al primo che capitava. Voglio dire, anche al primo che capitava, perchè in fin dei conti sei sempre stato il solito e non è che potevi tirarla troppo a lungo questa storia dei segreti segretissimi tra una campanella e l'altra.
Ma c'erano delle volte in cui avevi proprio bisogno del complice giusto per realizzare i tuoi piani.
Quella spalla che fosse il tuo coltello, la carta su cui scrivere, l'attore del tuo copione.
Il mondo doveva saperlo, cazzo, che saresti tu ad avere l'idea giusta per cambiare il mondo, a rivoltare ogni cosa di quest'universo che ti sembrava proprio facesse un rumore storto. Serviva una realtà parallela, ecco, in cui il disordine fosse libero, in cui ci fosse anarchia di pensiero, che facesse male, che fosse crudele e dove non si facesse più la guerra per la democrazia o per il libero pensiero.
Che si facesse la guerra per fare la guerra.
Saresti stato tu il fondatore del nuovo esercito degli ultimi strenui difensori di un romantico cinismo demodè.
Il fatto strano è che quando eri piccolo un'alternativa non la vedevi.
Tutto era giustamente bianco e nero, così come deve essere, così come non c'è altro modo che sia.
Un mondo a fumetti, a carta, inchiostro e china.
I colori sono arrivati dopo e hanno sparato indelebili sbavature fosforescenti per incorniciarti le impronte digitali.
Da bambino inizi a capirlo presto che nessuno di quelli che ti gira intorno, dei tizi con cui ti ritrovi a vivere assieme, sia disposto ad ascoltarli veramente, i tuoi attacchi di genio. Perchè lo sono, questo è innegabile. Ma il fatto più atroce è che dopo qualche tempo, arrivi anche al passaggio successivo. Capire che una comunicazione vera coi tuoi coinquilini di casa e a volte anche di realtà parallela non ci potrà mai stare.
Capire che la gente intorno a te pensa seriamente di capirti e non capisce una sega di quello che dici, che magari è anche una roba originale, è l'ultimo attacco di genio che ti viene.
Poi smetti di essere un bambino e inizi a ingoiare caramelle ripiene delle parole e dei disegni di cui vorresti riempire i vuoti a perdere in cui ti sei cacciato di proposito, perchè le urla fuori sono colorate troppo forte e tu sei sempre stato solo una proiezione b&w a due dimensioni sullo sfondo.
Eri un bambino, la profondità non ti serviva. Eri già tu, la profondità.
Ecco, qualche giorno fa mentre cercavo a tastoni il muro di casa e mi abituavo al chiaroscuro di quella luna così bella da spogliare, ho ripensato a quanto mi piacesse da matti addormentarmi al buio, persa soltanto nel mio abbraccio, a quanto non ne fossi spaventata.
Non ero mai veramente sola.
Pensavo a quanto fossi capace di vederli là, ammucchiati uno sopra l'altro tutti i miei mostri e miei amici immaginari.
E non ero certa che non mi potessero far del male, voglio dire. Non ero certa che non esistessero davvero. Ma giocare a vivere era un dovere, un richiamo che veniva da lontano, era il tuo canto delle sirene e non potevi fare a meno di stare al gioco. Perchè ancora non li avevi visti, i colori.
Non potevi saperlo che di lì a poco tutto quello che eri stato fino a quel momento sarebbe stato murato vivo sotto una superficie spugnata color pesca. Che è il colore leggero con cui i grandi si scrollano via i mostri da sotto il letto.
Poi mi è capitato di parlare con il signor Lorenzo Palloni che all'anagrafe risulta studente di "Beni culturali" e al secolo passerà di sicuro come fumettista perchè ho il vago sentore che gli riesca parecchio meglio come cosa. Classe 1987, Palloni mi dice che ha all'attivo una pubblicazione con la Double shot per una raccolta di storie a fumetti, intitolata "Fascia protetta". Tematica: " Storie sull'infanzia".
Ma non su quel mieloso andante che, dopo averle lette, finisci per idealizzare tuo figlio alla donna angelo degli stilnovisti. Son storie feroci, signori. Di chi ha avuto il coraggio di buttare giù l'intonaco e uscire dal muro.
Dal volo nell'immenso inferno dei bambini perduti ne "L'altalena" di Brunilde Galeotti alla poesia che germoglia nella terra e dalla morte genera vita nuova di Ravazzani ne "I fiori di alice", passando per "Guasto", lavoro a sei mani di Palloni, Farinon e Marzano sulla condizione del disagio familiare nell'infanzia e sulla faccia nera dei bambini, quella che può uccidere e ritrarre la mano, mentre sugli occhi s'asciugano controvento lacrime di cristallo, le sole cicatrici che stanno lì a testimoniare che quei piccoli artefici del male sono bambini venuti su nella violenza, nella disinformazione e tra incomunicabili incomprensioni, mandati a morire in un vulcano di colori.
Se non lo compri, non sei più un bambino.
E adesso trovami un'offesa peggiore di questa.
Giulia Mafalda Gì/ Tristan Van Persie.
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